Fino a pochi anni fa in molti pensavano che la globalizzazione diminuisse il potere di mercato e stimolasse la concorrenza. E c’era la speranza che una maggiore interdipendenza economica potesse prevenire i conflitti a livello internazionale.
Se c’erano degli autori di riferimento all’inizio del ventesimo secolo, questi erano Joseph Schumpeter, l’economista che definì la “distruzione creatrice” una forza trainante del progresso, e lo statista britannico Norman Angell, che affermava che l’interdipendenza economica aveva reso obsoleto il militarismo.
“Eppure, quello in cui ci troviamo – osserva Jean Pisani-Ferry - è un mondo caratterizzato da monopoli economici e rivalità geopolitiche”.
Il primo problema è incarnato dai giganti della tecnologia statunitensi e ora anche cinesi. Secondo l’Ocse, la concentrazione del mercato è cresciuta in una gamma di settori, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa. E Pechino sta creando campioni nazionali ancora più forti, che godono di un forte sostegno statale.
Sul fronte della geopolitica - secondo Pisani-Ferry - “gli Usa sembrano aver abbandonato la speranza che l’integrazione della Cina nell’economia mondiale possa portare alla sua convergenza politica con l’ordine occidentale liberale”. E la notizia non è recente. Come ha spiegato il vice presidente statunitense Mike Pence Washington considera Pechino come un rivale strategico in una nuova era di “competizione tra le grandi potenze”. Parole pronunciate durante un discorso tenuto nell’ottobre del 2018.
E se a ciò si aggiungono prima la guerra commerciale che ha frenato bruscamente l’economia mondiale lo scorso anno, poi le accuse rivolte a Pechino da Washington sulla gestione della pandemia.
Tutto lascia pensare che Parag Khanna, uno dei maggiori esperti mondiali di geopolitica, già consulente di Obama, potrebbe avere ragione quando teorizza che “la pandemia probabilmente sta accelerando la definizione di un nuovo ordine mondiale. Il Covid-19 sancirà il trionfo di un processo di macroregionalizzazione dell’economia”.