Prima la guerra commerciale, poi la pandemia. Per le imprese cinesi, e non solo, è stato davvero un brutto anno.
In seguito allo scontro Trump-Jinping, numerose aziende sono state costrette a ripensare le catene di approvvigionamento, altre sono alla ricerca di alternative a causa dell’aumento del costo del lavoro in Cina e delle leggi ambientali più rigorose adottate da Pechino. Poi, con il Covid-19, milioni di persone hanno perso il lavoro e l’economia è crollata. Per la Cina la ripresa sarà lenta e dolorosa.
Anche il vicino gigante indiano ha subito pesantemente le conseguenze della pandemia. Ma il primo ministro Narendra Modi ha varato a maggio una manovra da 242 miliardi di euro per aiutare a stabilizzare l’economia domestica e rendere il Paese un partner più attraente (“Make in India”), campagna lanciata nel 2015 per attirare le aziende estere.
In particolare, il nuovo programma di incentivazione messo in atto ad aprile (‘Production Linked Incentive Scheme’) mira ad attrarre i produttori di telefoni cellulari e ad alcuni componenti elettronici.
Secondo il governo indiano, la quota del paese nella produzione globale di elettronica è passata dall’1,3% nel 2012 al 3% nel 2018. Ecco allora che Apple potrebbe diventare la prima azienda esportatrice in India, visto che il colosso Usa sta trasferendo nel Subcontinente circa il 20% della produzione realizzata in Cina. E si consideri che nella seconda economia al mondo, nel biennio 2018-2019, Apple ha realizzato prodotti (la maggior parte dei quali esportati) per un valore di 220 miliardi di dollari.
Prima con la ‘trade-war’, poi con il virus, il mondo ha scoperto quanto sia rischioso per le catene di approvvigionamento dipendere da singoli Paesi. Ecco perché la diversificazione geografica è destinata ad aumentare. E a guadagnarci potrebbe essere proprio l’India, in un mondo assetato, e alla perenne ricerca, di costi bassi.