Nel 2053 la Turchia sarà davvero una grande potenza capace di competere alla pari con Stati Uniti, Cina e Russia – ammesso che le ultime due siano nel frattempo sopravvissute alla sfida con il Numero Uno? In effetti, la ‘Visione’ annunciata nel 2013 da Recep Tayyip Erdogan - per proiettare la Repubblica fondata da Mustafa Kemal Ata¬türk verso il seicentesimo anniversario della conquista di Costantinopoli - esprime un obiettivo chiaro.
I turchi repubblicani credono che torneranno a guidare un impero. Il recupero dello status egemonico non è per loro un’eventualità ma una certezza. La consapevolezza imperiale è radicata nel profondo della nazione, esprime la cifra antropologica del fenomeno turco. È inscritta nel dna stesso della Repubblica, Stato nazionale che si percepisce come ultima manifestazione di una tradizione imperiale bimillenaria.
La Turchia si considera formalmente erede dei sedici imperi turchi che dal 204 a.C. al 1922 hanno contribuito in modo decisivo a orientare il corso della storia del pianeta. L’invito a emularne le gesta è stato formalizzato con un decreto governativo nel corso della riunione del Consiglio dei ministri del 25 gennaio 1985.
L’atto legislativo ha legalmente attribuito alle sedici stelle che ornano il vessillo della presidenza della Repubblica la funzione di rappresentare altrettanti ‘grandi imperi turchi’, nel tentativo di colmare lo iato tra la rivoluzione kemalista (il riferimento è alla lotta di liberazione nazionale dei popoli della Turchia da parte del Movimento guidato dal generale Mustafa Kemal Atatürk) e il passato imperiale, di lenire la paura che aveva attanagliato la nazione turca dopo la catastrofe della prima guerra mondiale, e di annodare il presente repubblicano alla gloria degli unni e degli ottomani.
L’operazione riflette l’innata tendenza del turco a pensare e a pensarsi in prospettiva storica, a percepire sé stesso e la propria collettività di riferimento come parte di una traiettoria eterna. La traiettoria neo-imperiale della Repubblica turca, inscritta nelle sue passate glorie, è così oggi perno della martellante campagna promossa da Erdoğan. Azerbaigian e Libia sarebbero i primi obiettivi. Seguirebbero poi l’avanzata nei Balcani e la chiave cipriota. A ostacolare il progetto ci proveranno gli Usa, in un contesto nel quale oggi Washington e Ankara rappresentano, rispettivamente, il primo e secondo esercito della Nato.