È stata arrestata l’autrice che avrebbe piazzato la bomba in Istiklal Caddesi, a Istanbul, uccidendo almeno sei persone in una delle affollate vie dello shopping, simbolo della nuova Turchia che in vent’anni il sultano capace di succedere sempre a se stesso ha costruito per scandire la sua scalata al potere. Lo ha annunciato il ministro dell’Interno Soumeylan Soylu. Si chiama Ahlam Albashir, ed è una donna di nazionalità siriana.
Secondo il governo, avrebbe confessato di essere stata addestrata dal partito curdo armato Pkk e dalle milizie curde siriane dello Ypg. Un attentato dunque orchestrato secondo l’esecutivo turco a Kobane, città a maggioranza curda che si trova nel nord della Siria, in un’area in cui la Turchia ha gradualmente allargato la propria sfera di influenza negli ultimi anni.
Il governo ha intanto respinto le condoglianze degli Stati Uniti. “Non accettiamo il messaggio di cordoglio dell’ambasciata americana. Lo rifiutiamo”, ha detto il ministro dell’Interno Suleyman Soylu. Il presidente Recep Tayyip Erdogan accusa spesso Washington di fornire armi ai combattenti curdi nel nord della Siria, considerati terroristi da Ankara.
La Turchia ha peraltro bloccato l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato per ottenere da Stoccolma l’estradizione dei curdi, che (guarda il caso) Ankara sta negoziando con gli svedesi proprio in questi giorni. L’attentato attribuito dal governo turco ai curdi è avvenuto in tale quadro politico, a cui occorre aggiungere un altro fatto tutt’altro che irrilevante: il prossimo anno sono in programma le elezioni presidenziali in un contesto economico complicato.
L’attentato affonda con l’onda d’urto della paura la miniera del turismo che ha consentito quest’anno di fronteggiare il collasso economico. E distrae Erdogan dall’ultimo dei suoi trasformismi, la costruzione cioè dell’immagine di pacificatore e di mediatore tra gli imperi con cui ha messo a suo profitto perfino la guerra in Ucraina (si veda, ad esempio, l’accordo sul grano), stendendo per l’ennesima volta un velo sulle accuse di usare metodi repressivi e autoritari.
A meno che Erdogan non riesca a trasformare l’orrore per questo attentato nell’arma propagandistica che ne prolunga ancora il potere. Non sarebbe la prima volta che il terrorismo diventa il pretesto con cui le autocrazie, combinando paura e rabbia, rinforzano il consenso calante: in tal senso, la pista curda è funzionale allo schema.
I curdi infatti sono da mesi nel mirino di Erdogan che ha minacciato più volte di allargare con un’invasione la fascia di sicurezza anti-curdi in Siria nella zona di Afrin fino alla città di Kamechliyé. È la Siria incubo e miraggio di Erdogan, tra il timore della possibile guerra civile con uno Stato curdo alla frontiera e i sogni neo-ottomani di riafferrare Aleppo e il Nord della Siria che Ankara considera come proprio territorio.
È anche la Siria da cui vengono i quattro milioni di profughi a cui dal 2011 Erdogan ha dato asilo dopo lo scoppio della guerra civile, usandoli per tenere sotto controllo le critiche dell’Europa e lucrare sulla paura occidentale per l’invasione (presunta) dei profughi. Ma che ora stanno diventano un grave problema politico anche per lui. Perché la crisi economica ha fatto crescere l'insofferenza dei turchi per questa costosa ospitalità. Un quadro complesso, per Erdogan e non soltanto.