“L’Italia è stata tra i primi a firmare il Memorandum sulla Via della Seta. Poi tanti altri si sono affrettati a venire qui a chiudere accordi”, ha rivendicato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a Shanghai dove l’Italia è uno dei 15 ospiti d’onore della grande fiera sulle importazioni voluta da Xi.
Peccato che il nostro export verso la Cina nei primi sette mesi del 2019 sia diminuito. L’intesa non sembra per ora avvantaggiare le imprese tricolori, ma Di Maio rivendica i pochi mesi avuti finora per implementare il memorandum, ricorda gli accordi già siglati sull'agroalimentare (le note arance) e indica i nuovi che “saranno chiusi tra la fine dell'anno e l’inizio del 2020: il via libera all’export di carni bovine (valore stimato “300 milioni di euro”) e del riso (“decine di milioni” per la varietà da risotto, che in Cina manca). Al centro della visita anche il turismo e la promozione del “Made in Italy”.
Intese in discussione da tempo, ma che non sembrano in grado di far decollare i nostri saldi commerciali con Pechino, né di ridurre la distanza in export e investimenti che ci separa dai principali concorrenti europei.
Gli altri dossier della Via della seta come gli investimenti in infrastrutture e tecnologia (a cominciare dal 5G), più ricchi e strategici ma anche più delicati, sembrano destinati invece a restare in secondo piano durante la visita.
Poi le autorità di Pechino hanno spiegato che è merito di Di Maio se il presidente cinese (nella sua recente visita in Europa per la sigla della Bel and Road Initiative) è andato prima in Italia e poi in Francia. Ma gli accordi chiusi a Roma valgono 2,5 miliardi, quelli di Parigi oltre 40.