Nella notte tra l’11 e il 12 gennaio, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno colpito alcune basi degli Houthi nello Yemen con missili e attacchi con aerei. Lo scopo è ridurre la capacità militare dei ribelli sostenuti dall’Iran i quali, per dimostrare il loro sostegno a Gaza, da mesi attaccano le navi nel Mar Rosso rallentando i commerci mondiali dal petrolio ai collegamenti industriali con l’Asia.
Oltre ai drammatici risvolti umani e geopolitici, tra le vittime collaterali di questa tensione rischiano di finire anche le piccole e medie imprese italiane. Dal Mar Rosso, attraverso gli stretti di Suez e di Bab el-Mandeb — secondo il centro ricerche di Intesa Sanpaolo —, passava fino a qualche settimana fa circa il 30 per cento del commercio marittimo mondiale e il 40 per cento di quello italiano; in particolare quello che lega il Paese al Golfo, all’India, fino a Cina, Giappone e Australia.
Ora la strozzatura all’uscita del Canale di Suez, dovuta agli attacchi degli Houthi e alle minacce dell’Iran, sta cambiando le condizioni. E non solo dell’import. Anche l’export da Genova, Trieste o Napoli verso Shanghai sta iniziando a soffrire un rapido deterioramento. Solo nell’ultima settimana il costo della spedizione di un container dal Mediterraneo alla Cina è salito da 153 a 507 euro e il viaggio in direzione inversa è rincarato di poco di meno.
Chi continua a transitare da Suez lo fa con i transponder spenti per non essere riconosciuto e sopporta costi dell’assicurazione cresciuti almeno di tre volte e mezza. Il traffico è sceso da 400 a circa 250 navi al giorno, secondo Lloyd List.
I dati del Fondo monetario internazionale parlano chiaro: la scorsa settimana i volumi trasportati attraverso il canale sono diminuiti del 35 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. Allo stesso tempo, i volumi in transito attraverso il Capo di Buona Speranza nei mercati del Sudafrica sono aumentati del 67 per cento.