Risorse e Stati Uniti. Perché la Cina resta in Africa

Pechino non ha alcuna intenzione di lasciare il continente, strategico per l’approvvigionamento di materie prime e per la competizione con gli Usa

Risorse e Stati Uniti. Perché la Cina resta in Africa

La Repubblica Popolare Cinese non intende rinunciare all’influenza catalizzata in Africa, malgrado abbia annunciato un ridimensionamento della mole delle proprie attività economiche sul posto.

All’ottavo Forum per la cooperazione Cina-Africa (Focac), svoltosi a Dakar a fine novembre, Pechino ha promesso finanziamenti per almeno 40 miliardi di dollari; 20 in meno rispetto a quelli ufficializzati durante il vertice del 2018.

Al netto dei dati assoluti, per Pechino il Continente africano rappresenta una strategica fonte di risorse (petrolio, prodotti agricoli, diamanti, rame, litio, cobalto, ecc.) e un enorme mercato verso cui dirigere esportazioni e sovracapacità industriale.

L’Africa settentrionale costituisce un cruciale punto di osservazione verso l’Europa, cioè la sfera d’influenza americana in Eurasia. Al punto che secondo l’intelligence statunitense Pechino intende costruire una base militare in Guinea Equatoriale, sulla costa occidentale africana.

Sarebbe la seconda struttura ufficiale dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) all’estero dopo quella di Gibuti, inaugurata nel 2017 e affacciata sullo Stretto di Bab el-Mandeb. L

a rilevanza strategica dell’Africa dalla prospettiva della Repubblica Popolare emerge anche dall’adesione di Eritrea e Guinea Bissau alla ‘Belt and Road Initiative’ pochi giorni prima del summit Focac. La prima torna utile al monitoraggio cinese delle rotte marittime dirette verso il Canale di Suez. La seconda potrebbe consolidare la presenza di Pechino in Africa occidentale.

Pechino promette progetti qualitativamente migliori per superare le crescenti critiche circa la trasparenza delle opere infrastrutturali realizzate nell’ambito della Bri e la “trappola del debito”. Tali fattori spingono diversi paesi, anche africani, a studiare con maggiore attenzione i progetti della Cina e a cercare il sostegno di altri partner.

Lo scorso luglio, l’Etiopia ha concluso un accordo con un consorzio finanziato dagli Usa per la costruzione della rete 5G nazionale. La Nigeria usufruirà di denaro britannico per realizzare la rotta ferroviaria made in China tra Port Harcourt e Maiduguri. La popolazione della Sierra Leone ritiene che la costruzione del porto sulla spiaggia di Black Johnson inquini l’ambiente e porti via lavoro ai pescatori locali.

La Tanzania ha rilanciato solo recentemente l’edificazione dello scalo marittimo di Bagamoyo da parte di China Merchants, perché in precedenza riteneva che potesse danneggiare le attività di quello di Dar es Salaam.

Insomma, Pechino ha bisogno di consolidare il suo fragile soft power. Ciò può voler dire anche ridurre la quantità dei finanziamenti a beneficio della qualità. Così da non perdere punti nel confronto con i nuovi progetti infrastrutturali lanciati da Stati Uniti e Ue, rispettivamente Build Back Better World e Global Gateway.

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