Era il 9 novembre del 1989: la notte della caduta del Muro di Berlino. Il simbolo della fine della cortina di ferro, del mondo diviso in due blocchi atomici, della riunificazione della Germania era stato in qualche modo preannunciato dalle fughe estive di tedeschi orientali attraverso Ungheria e Cecoslovacchia.
Quella notte tutto cominciò poco prima delle 19 con la conferenza stampa del portavoce del governo della Ddr, Guenter Schabowski, in cui l’allora corrispondente dell’Ansa a Berlino est, Riccardo Ehrman, con una sua domanda ne innescò altre che poi portarono all’annuncio: in pratica, si poteva oltrepassare il Muro.
L’incontro con i giornalisti fu trasmesso in diretta tv. Così decine di migliaia di berlinesi dell’est corsero verso i posti di frontiera fra le due parti della città. La polizia, colta di sorpresa da un afflusso così massiccio, chiese ordini su come comportarsi ma permise comunque a tutti di passare senza controlli.
L’iconografia scolpita nelle menti è fatta anche e, forse soprattutto, dai ragazzi che si arrampicano sul Muro tirandosi su a vicenda. Dal lavorio di martelli grandi e piccoli.
In tre giorni due milioni di persone passarono il confine sancendo la fine di un mondo.