Donald Trump sta pensando di imporre una tariffa del 20% sui veicoli introdotti negli Stati Uniti. Nella visione del presidente Usa le auto provenienti dall'Ue potrebbero essere soggette a nuovi dazi se Bruxelles decidesse di vendicarsi per quelli imposti da Washington su acciaio e alluminio.
Non è detto che Trump ci riesca. Sarebbe, infatti, difficile stabilire tariffe addizionali sull’import di auto senza violare le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio. In base agli accordi, le automobili importate negli Stati Uniti sono soggette a dazi del 2,5%, che salgono al 25% nel caso dei camion.
Pur di “proteggere” la produzione domestica la Casa Bianca studia l’ipotesi di sottoporre le importazioni a standard di emissioni più stringenti rispetto ai veicoli domestici. L’idea è sostenuta dai produttori a stelle e strisce, per i quali gli attuali limiti sono troppo rigorosi e penalizzano la domanda degli acquirenti di camion e veicoli sportivi, che costituiscono al momento il 60% delle vendite all’interno del paese.
Trump è di nuovo tornato su un altro tema caldo: il Nafta, l’accordo commerciale, “pessimo” secondo il presidente Usa, con Messico e Canada firmato da Clinton nel 1994. L’obiettivo è di portare dall’attuale 62,5% al 75% la quota di componenti realizzati nei tre paesi e presenti nella auto prodotte negli Stati Uniti. In questo modo si eviterebbe di incorrere nei dazi altrui e si placherebbero le ansie delle aziende che hanno delocalizzato in Messico, sempre più preoccupate degli effetti di eventuali cambiamenti al Nafta.
Trump, tuttavia, continua a sostenere che sarebbe meglio "costruire le auto negli Usa e poi spedirle all'estero". E ha un esempio a portata di mano: è quel Sergio Marchionne, ceo di Fca, che ha avuto il merito di spostare una sede dal Messico in Michigan. "Questo è ciò che ci piace - ha detto il presidente - In questo momento è il mio uomo preferito nella stanza dei bottoni".