Nonostante le divergenze tra i due presidenti, il legame tra Stati Uniti e il paese più importante del Sudamerica non subirà stravolgimenti. Qualcosa li divide (l’Amazzonia), qualcos’altro li unisce (la Cina, nel senso di opposizione a Pechino).
E torna alla memoria la frase “se perdiamo il Brasile, non sarà un’altra Cuba, sarà un’altra Cina” pronunciata dal generale Vernon Walters per giustificare il sostegno al golpe militare del 1964. Un concetto che, dopo quasi 60 anni, riassume efficacemente ancora oggi la visione degli Stati Uniti nei confronti del Brasile.
Uno Stato, quello latino, dal notevole peso specifico nel suo “cortile di casa“, ma allo stesso tempo troppo disorganizzato, povero e politicamente immaturo perché possa godere di maggiore autonomia.
Per Washington, il Brasile è in pratica ‘too big to fail’. Non è considerato un alleato come i paesi europei, Giappone o la Colombia, ma è un partner importante per mantenere la stabilità nella macroregione dell’America Latina. Per la sua dimensione geografica (il Brasile ha un’estensione superiore a quella di Argentina, Cile e Uruguay messi insieme), demografica ed economica.
Ecco perché, al di là di ogni possibile divergenza, i rapporti tra Washington e Brasilia non sono destinati a mutare radicalmente.