La quota dell’industria sul Pil continua a scendere in Italia. In una flessione costante che sta cambiando i connotati dell’economia nazionale; e la sta rendendo sempre più dipendente dai servizi, con tutte le possibili conseguenze su qualità dell’occupazione, salari, innovazione, e produttività.
I conti trimestrali diffusi lunedì dall’Istat con le stime definitive sulle dinamiche di luglio, agosto e settembre segnano solo l’ultimo (finora) passaggio di una strada lunga e tortuosa. Quest’estate l’industria in senso stretto, vale a dire il settore secondario con l’esclusione delle costruzioni, ha generato valore aggiunto per circa 79 miliardi.
Il dato si ferma lo 0,9% sotto i livelli dei tre mesi precedenti, mentre rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso la flessione è dell’1,7%. Ma, oltre ai confronti tendenziali e strutturali, sono gli andamenti di medio-lungo periodo a mostrare in modo evidente lo scivolamento della produzione manifatturiera italiana.
Il dato trimestrale si colloca, infatti, il 2,9% sotto quello registrato nello stesso periodo del 2019, e il differenziale è simile (-2,23%) se si allarga lo sguardo all’intero periodo che va da gennaio alla fine di settembre. Manifattura e affini vedono così ridursi di mese in mese il peso sul totale dell’economia nazionale, oggi al 18,2% contro il 19,9% di quattro anni fa.