“I fascicoli aperti contro ignoti dalle procure di Milano e di Taranto sulla vicenda dell’ex-Ilva sono iniziative anomale”. Innanzitutto “perché il problema penale è di Taranto, a Milano prevale il problema finanziario della famiglia Riva”. Alfonso Celotto, costituzionalista, docente alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma, commenta così le mosse delle due procure.
Nel caso di Milano si vuole verificare se ciò che sta accadendo a Taranto sia lesivo del preminente interesse pubblico relativo alla difesa dei livelli occupazionali, alle necessità economico-produttive del Paese e agli obblighi di risanamento ambientale; quanto all’indagine della magistratura tarantina, si fa riferimento a fatti inerenti al rapporto contrattuale con ArcelorMittal eventualmente dannosi per l’economia nazionale, alla luce della denuncia dei commissari Ilva.
“La vicenda di Taranto mette in mezzo quattro interessi confliggenti, cioè quello lavorativo, quello sanitario, quello industriale e quello ambientale – spiega Celotto - che insieme formano un nodo inestricabile e un problema difficilmente risolvibile”.
E sullo scudo penale Celotto è chiato: “Oggi l’ex-Ilva è al di fuori dei parametri sull’inquinamento, quindi sta compiendo dei reati. Arcelor vuole una deroga alle norme penali di tre-cinque anni che consenta di rimettere a posto le cose e che nel frattempo permetta di lavorare tranquilli: in altre parole, deve tenerla aperta cercando di risanarla”.
In realtà quanto sta accadendo a Taranto mette più che altro in luce l’incapacità italiana di decidere sulle grandi questioni. “Dal Mose all’Alitalia e fino all’ex-Ilva sono tutti segnali di un Paese che non decide”.