La trattativa tra il Tesoro e Unicredit per la compravendita del Montepaschi è saltata. Erano giorni che tirava aria brutta tra le controparti, appesantite da un negoziato partito nel luglio 2020, formalizzato in esclusiva un anno dopo e consumato da due mesi di richieste lontane di almeno 2 miliardi di euro.
Venerdì scorso ci sarebbero stati gli ultimi confronti, infruttuosi, tra il direttore generale del Mef, Alessandro Rivera, e il numero uno della seconda banca italiana, Andrea Orcel.
Il Tesoro, che controlla la banca di Siena con il 64%, ha quindi fermato la trattativa. La contropartita di 7 miliardi alla cessione viene considerata “punitiva” per i contribuenti dal ministero.
In un comunicato congiunto Tesoro e Unicredit hanno formalizzato la rottura del negoziato. A questo punto entro Natale, Mps deve trovare 3 miliardi.
Il governo accusa Unicredit di aver tirato troppo la corda, ma il problema reale è che i vari esecutivi che si sono alternati a Palazzo Chigi non sono mai riusciti davvero a risanare la banca. Questo è probabilmente il problema principale.
Le acquisizioni di aziende in grave crisi possono persino risultare profittevoli se il governo, dopo averle acquisite, è in grado di rimetterle in carreggiata, come nel recente passato accaduto nel paese più capitalista la mondo, gli Stati Uniti, e anche (tra gli altri) nella prima economia europea.
Proprio in Germania nei mesi scorsi è stata salvata la compagnia aerea Lufthansa, caduta in una grave crisi a causa della pandemia. L’intervento del governo è stato risolutivo e ora l’esecutivo passa all’incasso, guadagnandoci.
L’esatto opposto di quanto accaduto in Italia con l’ex compagnia e di bandiera. Un film che ora rischia di ripetersi con la banca più antica al mondo e che mette ancora una volta in luce l’assenza in Italia di una politica industriale efficace.