Per circa la metà delle imprese italiane molte delle misure che costituiscono il Piano nazionale di ripresa e resilienza non hanno “nessuna” rilevanza come fattore di sostegno nel primo semestre del 2022.
È quanto emerge dal report Istat, “Situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid-19”, secondo cui, in riferimento ai capitoli ‘digitalizzazione’, ‘rivoluzione verde’ e ‘infrastrutture e mobilità sostenibili’, “circa la metà delle imprese non li considera rilevanti come traino dell’attività”.
Il fattore di sostegno più importante è invece considerata la domanda interna. E qui la questione si complica alla luce dei bassi livelli medi salariali, dell’impennata dell’inflazione, della persistenza di un’alta disoccupazione (soprattutto quella giovanile e femminile) e della precarietà che caratterizza l’attuale ripresa occupazionale.
Non stupisce, dunque, che per quasi un quarto delle imprese i fattori di rischio per la crescita siano l’indebolimento della domanda e gli ostacoli nell’acquisire gli input produttivi (quest’ultimi dovuti ai colli di bottiglia in cui sono incappate le catene globali del valore).
Tuttavia, oltre l’80% delle imprese, che rappresentano più del 90% del valore aggiunto, prevedono di trovarsi in una situazione di completa (41,3%) o parziale (39,5%) solidità entro la prima metà del 2022. Poco più del 3% si giudica invece gravemente a rischio.
Il 9,4% delle imprese ha, inoltre, aumentato il personale nella seconda metà del 2021, mentre un altro 12,1% sta assumendo. Ma tra queste quasi i due terzi segnalano difficoltà a reperire le competenze necessarie.