L’emergenza energetica e la prospettiva di una chiusura dell’import di metano russo hanno riaperto il tema, tra gli altri, delle grandi infrastrutture italiane per trasportare il gas. Ma non si può dire che all’Italia manchino le tubazioni. A latitare sono le forniture per riempirle.
La storia nasce nel 1953 quando Enrico Mattei, fondare dell’Eni, impedì di liquidare il giacimento lodigiano di Caviaga, 12 miliardi di metri cubi di gas, all’epoca il più grande nell’Europa, e impostò la metanizzazione dell’Italia povera di greggio. L’oro blu è stato il petrolio dell’industrializzazione italiana, e ciò ne ha fatto uno dei Paesi meglio infrastrutturati.
La capacità di importare gas è di circa 115 miliardi di metri cubi l’anno su un consumo che nel 2021 è stato di 76,1 mld di mc. Se mancasse il metano russo — 29,06 mld di mc nel 2021 — le altre infrastrutture di importazione sarebbero sufficienti per continuare ad alimentare di energia l’Italia. Tolto il gasdotto che, via Ucraina e Austria, approda al passo del Tarvisio, ci sono tubature e rigassificatori per altri 84 mld di mc, ben oltre il fabbisogno.
Il punto è che ora i tubi e i rigassificatori lavorano a mezzo servizio, perché ciò che manca è il gas. Non le infrastrutture.