Torna a galla la storia (ripresa nei giorni scorsi da alcune testate tra le quali ‘Il Fatto Quotidiano’ e ‘Il Corriere della Sera’) della rete offshore creata per custodire una parte riservata del patrimonio di Gianni Agnelli, deceduto nel 2003.
Si tratta di finanziarie, costituite a fine anni ‘90 e smantellate anni fa, per lo più domiciliate alle Isole Vergini i cui nomi e referenti, oltre che negli atti della causa civile in corso a Torino, erano stati al centro di un procedimento penale a Zurigo, intentato da Margherita Agnelli contro Morgan Stanley, e chiuso da tempo con l’archiviazione.
Alcune di queste holding che custodivano un patrimonio stimato da 900 milioni - come ha scritto il Corriere nel settembre 2021 - erano riconducibili a Marella Caracciolo, la vedova dell’Avvocato scomparsa nel 2019, mentre altre 15 erano genericamente attribuibili a “members of the Agnelli family”.
La ricostruzione della rete offshore è uno dei punti a sostegno della tesi legale di Margherita, ovvero di essere stata tenuta all’oscuro di una parte consistente dell’eredità Agnelli.
Nel procedimento civile torinese la figlia dell’Avvocato (e madre di John, Lapo e Ginevra Elkann) intende invalidare la successione di sua madre Marella Caracciolo (morta nel 2019), l’accordo transattivo sull’eredità dell’Avvocato (da cui ha ricevuto asset per oltre un miliardo) e il patto successorio del 2004 con la madre (con il quale ha rinunciato all’eredità materna).
In pratica si tratta di tutti gli atti dell’eredità Agnelli che, tra l’altro, hanno consolidato l’assetto attuale del gruppo Exor (costituito da Stellantis, Ferrari, ecc.), con al vertice John Elkann. La successione di Marella, inoltre, secondo Margherita doveva ricadere sotto il diritto italiano e non svizzero perché la madre non aveva residenza abituale in terra elvetica.