L'annuncio del presidente statunitense Donald Trump del ritiro dall'accordo nucleare iraniano e il ripristino delle sanzioni contro Teheran sembrano aver prospettato lo scenario peggiore per un’economia già indebolita. La valuta dell'Iran ha perso il 50% del suo valore dalla fine del 2017, tanto che le autorità hanno introdotto ad aprile un tasso di cambio fisso di 42 mila rial per 1 dollaro.
L’Iran deve fare i conti con un’inflazione già vicina al 10% che, con il deprezzamento della valuta, potrebbe ancora aumentare; ma è soprattutto la disoccupazione giovanile a preoccupare. Ogni anno entrano nel mercato del lavoro un milione di giovani. Il problema è che il 30% resta disoccupato, secondo i dati dell'Fmi.
Il congelamento virtuale dei flussi finanziari verso l’Iran mina la stabilità finanziaria della Repubblica Islamica: il ritorno delle sanzioni economiche statunitensi rappresenta un duro colpo per Teheran e rischia di mettere fine a buona parte degli investimenti e dei commerci con l’Europa. Intanto il nuovo ambasciatore degli Usa a Berlino, Richard Grenell, ha chiesto alle compagnie tedesche di cessare le loro attività in Iran.
Il settore bancario, sottocapitalizzato e ponderato con crediti inesigibili, ormai sembra sull’orlo dell’implosione: il presidente Hassan Rohani, in cinque anni di potere, ha portato avanti una politica impopolare di tagli e rigore, ma la sua strategia di crescita guidata dal settore privato – che nel paese rappresenta circa il 20% dell’economia – non è sembrata convincente. Che cosa succederà adesso?