L’industria della moda è tra le più inquinanti al mondo. Ogni anno, utilizza 93 miliardi di metri cubi d’acqua ed è responsabile di circa il 10 per cento del totale delle emissioni di gas serra a livello mondiale. Un impatto insostenibile che si è intensificato negli ultimi anni con l’ascesa del fast fashion. Il suo modello di business ha infatti amplificato il consumo di risorse e la produzione di rifiuti.
Si stima che ogni anno vengano prodotti tra gli 80 e i 100 miliardi di nuovi capi, circa 14 per ogni persona sulla Terra, i quali, per la maggior parte, sono destinati a cicli di vita sempre più brevi. Nella sola Ue vengono generati 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti in abbigliamento e calzature all’anno, pari a 12 kg per ogni cittadino.
Il risultato è che ogni secondo un camion di vestiti viene svuotato in una qualche discarica in giro per il mondo. A portare il peso di gran parte dei rifiuti tessili, luoghi come il deserto di Atacama nel nord del Cile (dove si troverebbero circa 741 acri di magliette, camicie, jeans e indumenti usati, ma anche nuovi, spesso eccedenze invendute) e alcuni Stati africani (Ghana e Kenya).
Eppure, la produzione di capi d'abbigliamento, specialmente quelli legati ai segmenti fast e ultra fast, necessita di notevoli risorse. La realizzazione di un paio di jeans, ad esempio, richiede 3.781 litri di acqua. Anche le fibre utilizzate nella produzione dei capi costituiscono un altro importante indicatore in termini di sostenibilità. Il poliestere richiede ingenti risorse (è prodotto a partire da combustibili fossili e spesso mescolato con altre fibre) e risulta difficile da riciclare. Anche l’impatto ambientale del cotone, seconda fibra più usata nella moda (dopo appunto il poliestere), è rilevante. Si tratta infatti della coltura con l’impronta idrica più alta.
Ma fibre sintetiche come poliestere, nylon e acrilico che vengono usate da molti brand low cost (che oggi rappresentano circa il 60 per cento del materiale che costituisce i nostri vestiti) sollevano un’ulteriore problema: il rilascio involontario di microplastiche nell’ambiente. Durante il lavaggio dei tessuti artificiali, piccole particelle di plastica possono infatti staccarsi dai capi e finire nelle reti idriche. Secondo le stime, il lavaggio di indumenti sintetici rappresenta il 35 per cento delle microplastiche primarie rilasciate nell’ambiente e un singolo carico di biancheria in poliestere può arrivare a scaricare 700 mila fibre di microplastica. Forse, un po’ troppe per il nostro Pianeta?