I Paesi del Centro ed Est Europa (Cee) potrebbero diventare “la nuova Cina”, ossia una nuova fabbrica del mondo (o perlomeno del Vecchio Continente).
I segnali ci sono già. La Polonia, ad esempio, non subisce una recessione dal 1991, tranne che durante la pandemia. I suoi livelli di consumo reale pro capite hanno raggiunto quelli della Spagna.
Gli investimenti diretti netti dall’estero sono raddoppiati dai già elevati 10 miliardi di dollari all’anno della metà degli anni 2010 ai circa 20 mld di oggi.
Un sondaggio condotto dalla società di consulenza Kearney classifica la Polonia tra le prime 25 destinazioni per gli investimenti diretti esteri nei prossimi anni, dietro a Messico e Taiwan.
Anche la transizione verso l’energia pulita può rivelarsi un asso nella manica per l’Europa dell’Est. Dai veicoli elettrici e dalle batterie alle pompe di calore e alle pale eoliche, è tuttavia necessario costruire nuova capacità produttiva.
L’ammodernamento delle fabbriche esistenti in Germania o in Francia costa quasi quanto la costruzione di uno stabilimento nuovo in Polonia o Ungheria. I Paesi ricchi possono offrire più sussidi, ma i paesi Cee hanno terra e manodopera più economici, normative più flessibili e tasse più basse.
Ma anche la Cina sta guardando, oltreché alla Turchia, all’Europa centrale ed orientale come possibile “testa di ponte” verso l’Europa. Non per caso, l’Ungheria ha ottenuto la prima fabbrica europea di Byd, colosso cinese di veicoli elettrici.
C’è poi la Serbia del presidente Aleksandar Vucic, da tempo in lista d’attesa per l’ingresso nell’Ue ma anche nel mirino per i suoi rapporti un po’ troppo cordiali con Vladimir Putin e Xi Jinping.
Questi tre paesi hanno bisogno di investimenti esteri per chiudere il gap con gli Stati occidentali, soprattutto in materia di ricerca e sviluppo.
Ma la finestra temporale non resterà aperta per sempre. C’è infatti un altro gap che si sta chiudendo. Il costo del lavoro rimane ancora più basso nei Paesi Cee, ma il divario si sta riducendo: i loro salari sono destinati a passare dall’attuale 44% della media dell’Ue occidentale al 59% entro il 2035.