Due ore di dibattito per analizzare il “momento darwiniano per l’industria dell’auto”, in realtà più utili a Tavares per chiedere soldi alla politica italiana, in colpevole ritardo (insieme agli altri paesi europei), nel comprendere e affrontare le difficoltà globali dell’auto e, in particolare, non accompagnando la transizione elettrica con i fondi necessari per salvaguardare occupazione e domanda.
Uno scenario in cui nessuno propone l’unica cosa che potrebbe forse cambiare la situazione: l’ingresso del governo italiano nel capitale di Stellantis per pareggiare l’esecutivo francese; scelta che tra l’altro riuscirebbe probabilmente a mettere in discussione il modello portato avanti per decenni da Fiat prima e Stellantis dopo, ovvero socializzare le perdite, privatizzare gli utili.
Basti pensare che, nonostante le fortissime turbolenze in atto nel settore automotive, lo scorso 17 aprile è stato approvato il bilancio 2023 di Stellantis che prevede un dividendo pari a 4,7 miliardi di euro sulle azioni ordinarie (che corrisponde a 1,55 euro per azione).
Nel frattempo, la dismissione della produzione in Italia va avanti da due anni, mentre per andare all’origine della crisi bisognerebbe riannodare il filo a partire dagli anni ’90.
Tornando ad oggi, il dato di fatto (“l’auto elettrica ha costi di produzione del 40% più alti dell’endotermico”) è il grimaldello per chiedere “sussidi e incentivi pubblici” allo scopo di riuscire a competere con Pechino: “Non chiediamo soldi per noi, chiediamo aiuto per i vostri cittadini” dichiara Tavares, aggiungendo che “in Italia i costi sono troppo alti, quello dell’energia per esempio è il doppio che in Spagna”.
Resta, tuttavia, il fatto che il piano industriale di Stellantis, che ha anche trasferito la propria sede legale nei Paesi Bassi (per convenienze fiscali e normative), continua a latitare.