L’idea di introdurre un reddito di cittadinanza sta lentamente emergendo da qualche anno in vari paesi nel mondo. Dalla Finlandia al Sud Africa, dall’Europa alle Americhe. Ma non era forse prevedibile che anche nella ricca penisola arabica si potesse prospettare una possibilità del genere. Ciò di cui qui si parla non è quello introdotto in Italia dal Conte 1. Bensì il nome sia lo stesso, il riferimento è a un contributo monetario incondizionato e universale, ovvero erogato a tutti i cittadini indipendentemente dalle condizioni economiche.
Le monarchie petrolifere del Golfo, sebbene in gran parte autoritarie, forniscono già ai loro cittadini generosi benefici, tra cui istruzione e assistenza sanitaria gratuite, energia a basso costo e persino la garanzia di un posto di lavoro nel settore pubblico. Ma è un sistema che ha contribuito ad alimentare una crescente classe media ma anche estreme distorsioni economiche. I sussidi energetici sono dannosi per l’ambiente e favoriscono in modo sproporzionato la popolazione più ricca, mentre l’eccesso di occupazione pubblica è improduttivo e allontana i cittadini dal settore privato. Poiché i prezzi del petrolio sono diminuiti e il numero di cittadini in età lavorativa continua a crescere, i sistemi di welfare negli Stati del Golfo sono nel tempo diventati fiscalmente insostenibili.
La sfida è dunque trovare un nuovo modello di condivisione della ricchezza che sia più equo, più trasparente, meno distorsivo economicamente e fiscalmente sostenibile. Il reddito di cittadinanza potrebbe essere finanziato principalmente attraverso i risparmi derivanti dalla riduzione dei sussidi energetici nazionali e dal blocco delle assunzioni nel settore pubblico. È proprio il finanziamento della misura a far sì che per il momento un vero e proprio reddito di cittadinanza resti un’utopia insostenibile nei paesi occidentali. Ma nei ricchi Stati della penisola arabica una qualche forma di condivisione diretta della ricchezza potrebbe rivelarsi l’unico modo politicamente fattibile per riformare le strutture di welfare esistenti ed evitare una crisi fiscale a lungo termine.