“Emiliano Brancaccio è un eretico pericoloso, proprio perché convincente. Ribelle a ciò che è largamente condiviso nel dibattito politico ma che spesso, come lui dimostra, non trova conferma nell’evidenza scientifica”. Con queste parole Americo Mancini, caporedattore del Gr1 Rai, definisce nella prefazione l’autore del libro Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico (ed. Piemme). L’idea centrale è la legge di centralizzazione del capitale di cui parlava Karl Marx: una tendenza non solo economica ma anche politica e “la spaventosa concentrazione del potere economico nelle mani di una ristretta oligarchia plasma a sua immagine l’intero sistema dei rapporti in cui viviamo”, inclusi quelli politici.
Una tesi confermata dall’evidenza empirica. Secondo uno studio citato nel libro dall’economista oltre l’80% del capitale azionario globale è oggi controllato da meno del 2% degli azionisti. Per Brancaccio, cosa vuol dire? Che Marx aveva ragione: la lotta capitalistica crea vincitori e vinti, coi primi che eliminano o fagocitano i secondi. L’aspetto più problematico è che il processo crescente di concentrazione induce il suicidio del libero gioco delle forze del mercato. La cristallizzazione del potere nelle mani di ristrette oligarchie infatti mette in un angolo il concetto di concorrenza e libero mercato, minacciando l’esistenza stessa delle democrazie liberali visto che la concentrazione del potere economico induce anche un’analoga concentrazione del potere politico.
Un rebus nel quale l’Italia si inserisce a pieno titolo nella visione di Brancaccio. Secondo lui, il nostro è stato uno dei paesi più diligenti nel seguire la strada del mercato e delle privatizzazioni a tappeto degli anni ‘90 del secolo scorso. Un’economia, quella italiana, che ha scommesso quasi tutto sullo slogan “piccolo è bello”, fatto di capitali piccoli e piccolissimi, e per questo arriva completamente sguarnito all’appuntamento della grande centralizzazione capitalistica internazionale.
È il tema della “mezzogiornificazione”, che Brancaccio mutua dal Paul Krugman e Augusto Graziani e che sviluppa secondo una prospettiva originale. La tendenza verso la centralizzazione dei capitali in sempre meno mani sta riproducendo lo storico dualismo tra Sud e Nord Italia su una scala più ampia, continentale, tra l’Italia e gli altri paesi del sud Europa ad arrancare e la Germania e i centri capitalistici del nord Europa a primeggiare. Col risultato, tra l’altro, che i capitalisti italiani sono sempre più relegati nel ruolo di azionisti di minoranza, senza alcun potere decisionale nel direzionare le allocazioni di risorse e lo sviluppo. Siamo quindi in un tunnel senza uscita? No, ma occorre mettere in discussione le vecchie credenze del passato sulle grandi virtù del mercato, della concorrenza e dello spontaneismo imprenditoriale. Brancaccio sostiene, in questo senso, che parlare di “nazionalizzazioni” è esso stesso un modo desueto di affrontare i problemi. Un rinnovato intervento dello Stato negli assetti di controllo, piuttosto, servirebbe proprio per dare al nostro paese maggior peso politico nei grandi processi di centralizzazione capitalistica internazionale.