Il fallimento delle sanzioni occidentali: dall’economia russa una resilienza sorprendente

Il surplus commerciale russo verso livelli record: l’avanzo corrente potrebbe arrivare nei prossimi mesi a 250 miliardi di dollari, il 15% del Pil, oltre il doppio rispetto ai 120 mld registrati nel 2021. Chi all’inizio di aprile si aspettava un rapido collasso dell’attività economica di Mosca è destinato a dover aspettare ancora a lungo

Il fallimento delle sanzioni occidentali
Mosca

L’inefficacia delle sanzioni imposte dall’Occidente contro la Russia si specchia nei numeri dell’economia della Federazione. Chi ad aprile si aspettava un rapido collasso dell’attività economica nel paese più esteso al mondo è destinato a dover cambiare idea.

Secondo la testata britannica ‘The Economist’, l’economia reale si è rivelata sorprendentemente resiliente. Non che sia tutto rosa e fiori. L’inflazione è salita oltre il 10% dall’inizio dell’anno sulla scia del deprezzamento del rublo, che ha reso più care le importazioni, e della fuga di molte aziende occidentali, che ha di fatto compresso l’offerta.

Ma altri dati sembrano indicare una sostanziale tenuta dell’economia russa: ad esempio, i consumi elettrici sono scesi solo di poco. E a fine aprile la Banca centrale ha ridotto il tasso di interesse dal 17% al 14%, segnalando che le tensioni in ambito finanziario sono in parte superate. In tale contesto, anche le stime sul crollo del Pil pari al 15% nel 2022 appaiono troppo pessimistiche.

A vedere bene il modello di funzionamento russo c’è un fattore che aiuta a spiegare tutto ciò: il paese ha un’economia relativamente “chiusa”. Circostanza che consente a Mosca di ridurre l’impatto delle sanzioni occidentali. C’è poi il fattore energia e gli immensi giacimenti.

Dall’inizio della guerra, Mosca ha esportato combustibili fossili per almeno 65 miliardi di dollari, secondo il ‘Centre for research on Energy and Clean air’. Nel primo trimestre del 2022 gli incassi di Mosca dagli idrocarburi sono lievitati di oltre l’80% su base annua. Ogni giorno il paese ricava circa un miliardo di dollari grazie al suo export energetico.

La resilienza russa trova un ulteriore riscontro nei rapporti bilaterali con altri importanti paesi. Le esportazioni cinesi verso la Russia sono rimaste sostanzialmente stabili ad aprile, mentre le importazioni sono cresciute del 13%. La Germania ha visto il suo export verso Mosca scendere del 62% e le importazioni contrarsi di appena il 3%. Dal giorno dell’invasione dell’Ucraina, le importazioni russe si sono ridotte nel complesso del 44%, mentre le esportazioni sono cresciute dell’8%.

Alla riduzione dell’import hanno contribuito l’espulsione di Mosca dal sistema Swift per i pagamenti internazionali e l’iniziale deprezzamento del rublo, che ha peraltro largamente recuperato terreno. Ma le esportazioni hanno tenuto molto bene, incluse quelle verso i Paesi occidentali che non hanno mai smesso di comprare petrolio e gas dal Cremlino. Il risultato è che il surplus commerciale russo potrebbe raggiungere livelli record nei prossimi mesi. Secondo l’Institute of international finance, l’avanzo corrente potrebbe arrivare a 250 miliardi di dollari, il 15% del Pil, oltre il doppio rispetto ai 120 mld registrati nel 2021.

Certamente queste sono indicazioni macroeconomiche, che non si traducono ad ampio spettro in benessere per la popolazione in Russia, paese dominato in lungo e largo da poche decine di oligarchi. E anche la ricchezza complessiva non è che sia così elevata. Nonostante sia un’economia dotata di risorse e materie prime, come riporta My Data Jungle, ad esempio il Pil procapite è stato pari a circa 10 mila dollari nel 2020, un numero piuttosto modesto se ad esempio paragonato ai 32 mila dell’Italia e ai 46 mila della Germania.

Resta il fatto che le sanzioni occidentali hanno finito per finanziare la guerra e la loro efficacia si sta sempre più indebolendo. E resta in bilico l’embargo al petrolio russo, fortemente osteggiato da alcuni paesi comunitari guidati dall’Ungheria. Ma anche qualora il blocco all’oro nero fosse approvato anche questa scelta potrebbe arrecare più danni che vantaggi all’economia europea.

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