Come se fosse resuscitato: gli indicatori macroeconomici indicano che il Portogallo va bene: la crescita è al 2,6%, il deficit all'1,7% e la disoccupazione all'8,5%. Eppure fino a ieri era uno dei grandi malati d’Europa.
La svolta è giunta nel 2017: il paese lusitano è uscito dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo decisa dalla Commissione europea. Da lì è cominciata la rincorsa sotto un governo di coalizione partecipato dai due principali partiti di sinistra e con un programma schierato contro le politiche basate sull’austerità.
Se cerchiamo un simbolo di questa combinazione di radicalismo politico e di performance economica, quel simbolo è certamente Mario Centeno, il ministro delle Finanze che ha elaborato il piano per rompere con la logica dell’austerità imposta da Bruxelles. E poi è arrivato, inaspettato, il premio: la recente elezione a presidente dell’Eurogruppo. Infatti i risultati portoghesi sono stati accolti con favore in Germania dai difensori dell’ortodossia fiscale e, paradossalmente, apprezzati anche dai critici delle politiche di austerità.
In un’unione monetaria, quando non è possibile avviare un percorso di aggiustamento attraverso la svalutazione della moneta e l’ipotesi di una ristrutturazione del debito viene esclusa, la svalutazione interna diventa necessaria. Richiede un ciclo di contrazione della crescita, della domanda domestica e un aumento della disoccupazione. Così il successo della svalutazione, insieme a un leggero stimolo alla domanda e della difesa del rigore di bilancio in un contesto di ripresa globale, ha consentito il rilancio delle esportazioni, il controllo della bilancia commerciale e di ridurre il fabbisogno di finanziamenti esteri. È in tal modo che la performance portoghese è stata accolta con favore sia dai rigoristi che dai critici delle politiche di austerità.