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In appena dieci anni, la Serbia ha fatto un salto in avanti. Ha risanato le finanze pubbliche e ridotto la disoccupazione. Il debito pubblico è sceso dal 70 al 52 per cento del Pil tra il 2015 e il 2019. E, dal 2014, il Pil è cresciuto più rapidamente della media europea.
Il Paese ha registrato un avanzo di bilancio nel 2017 e 2018, e ha chiuso in pareggio nel 2019. Poi, dal 2020, la tendenza si è invertita e l’inflazione anche nello Stato balcanico è aumentata ma i fondamentali macroeconomici sono rimasti solidi.
Questi risultati hanno permesso alla Serbia di affrontare la pandemia con riserve fiscali apprezzabili, che sono state usate in maniera tempestiva. Nel 2020, grazie ad uno stimolo economico pari all’8 per cento del Pil, Belgrado ha sofferto una recessione pari allo -0,9 per cento del Pil a fronte di una media del -5,7 per cento nei 27 paesi dell’Ue.
Ma non è tutto oro ciò che luccica. Se il Pil pro capite serbo crescesse a un ritmo del 2,8 per cento all’anno (ovvero la media dell’espansione del Pil pro capite serbo tra il 2010 e il 2021), convergerebbe con quello dell’Ue solo nel 2074. Un tasso di crescita medio del 5 per cento, invece, permetterebbe al Paese di colmare il divario già nel 2043. Secondo Luca Gori e Nicola Pontara, la Serbia ha il potenziale per accelerare la convergenza con la Ue e diventare la locomotiva economica regionale. Vedremo.
