Migliaia di sostenitori della coalizione di opposizione “Serbia contro la violenza” (Spn) hanno manifestato la vigilia di Natale per chiedere la ripetizione delle elezioni generali del 17 dicembre, a causa delle accuse di manipolazione del voto. La settima protesta davanti alla sede della Commissione elettorale per presunti brogli a favore del partito al potere Sns, del presidente Vucic, è stata finora la più grande.
La situazione si è fatta più tesa quando i leader dell’opposizione, dopo il corteo iniziale, si sono recati al vicino edificio del Municipio, nel tentativo di irrompere. I manifestanti hanno rotto le finestre della porta principale. La polizia a Belgrado ha poi fatto uso di gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti.
Dura l’inevitabile reazione di Vucic: “La Serbia contro la violenza ha tentato con la violenza e la forza di occupare la sede del Municipio”, ha detto Vucic, “ma i cittadini non devono aver paura, non è in atto alcuna rivoluzione, e lo Stato è forte abbastanza per difendere la democrazia e la libertà”, ha aggiunto il presidente.
“I tentativi da parte dell’Occidente di infiammare la situazione sono evidenti” ha detto la portavoce del ministero degli esteri di Mosca, ed anche il sindaco uscente di Belgrado ha fatto un parallelo tra la situazione in atto e la rivoluzione arancione Ucraina “in stile Maidan!”.
In realtà, proprio l’ennesimo successo elettorale di una settimana fa potrebbe rappresentare per il presidente serbo l’inizio della crisi in quell’accumulo di potere che va avanti da più di dieci anni: ministro dell’Interno, riformatore dei servizi segreti, primo ministro e poi capo dello stato Alexander Vucic, dalle posizioni di estrema destra ultranazionaliste nel dopo Milosevic, ha gradualmente virato verso una politica di avvicinamento all'Ue mantenendo però saldo lo storico legame con la Russia.
È stato tuttavia soprattutto l’accordo economico con Pechino ad irritare il blocco occidentale, Stati Uniti in testa. Con il prodotto interno lordo raddoppiato dall’avvento del Presidente, la Cina ha investito miliardi di dollari in infrastrutture pensate come terminale del progetto della Via della Seta che comprendeva anche Trieste come primo porto nell’Ue.