L’era della super crescita economica della Cina è finita. O quantomeno così sembra. La ripresa dalla strategia zero-Covid è in fase di stallo. E ora il Paese sta affrontando profondi problemi strutturali. Il boom immobiliare e gli eccessivi investimenti governativi che hanno alimentato il Pil per oltre un decennio sono giunti al capolinea. Le crescenti posizioni debitorie stanno paralizzando le famiglie e le amministrazioni locali.
FINE DI UN MIRACOLO. La Cina sembra non riuscire più a prolungare il miracolo della crescita che l’ha trasformata in un rivale degli Stati Uniti. Secondo alcuni economisti, invece di espandersi al 6-8 per cento all’anno, come è avvenuto nel recente passato, la Cina potrebbe presto dirigersi verso una crescita del 2-3 per cento. In tale quadro, l’invecchiamento della popolazione e la contrazione della forza lavoro aggravano le difficoltà della seconda economia al mondo.
RIPRESA SCEMATA. Nel primo trimestre l’economia cinese si è espansa a un tasso annuo del 4,5 per cento, grazie alla fine delle restrizioni dell’era Covid. Tuttavia, segnali più recenti suggeriscono che la ripresa sta scemando. Le vendite al dettaglio sono aumentate dello 0,5 per cento ad aprile rispetto al mese precedente e più di un quinto dei giovani cinesi tra i 16 e i 24 anni era disoccupato ad aprile. I colossi di e-commerce Alibaba e JD.com hanno riportato guadagni poco brillanti nel primo trimestre. L’indice Hang Seng di Hong Kong, dominato dalle aziende cinesi, è sceso del 5,2 per cento su base annua e lo yuan si è indebolito rispetto al dollaro statunitense.
CONSUMO e RISPARMIO. La transizione del Paese verso un modello che si basa maggiormente sui consumi interni anziché sulle esportazioni - che nell’idea del governo dovrebbe contribuire a mantenere il Paese in carreggiata – non sembra al momento esser riuscita. Di fronte all’incertezza, i cinesi più che aumentare la loro propensione a spendere stanno incrementando quella a risparmiare. Secondo i dati delle Nazioni Unite, i consumi delle famiglie cinesi rappresentano circa il 38 per cento del prodotto interno lordo annuale, rispetto al 68 degli Stati Uniti.
DEBITO. L’economia cinese è inoltre minacciata da un massiccio indebitamento. Tra il 2012 e il 2022, il debito della Cina è cresciuto di 37mila miliardi di dollari, rispetto ai 25mila registrati negli Stati Uniti. A settembre scorso, il debito totale (pubblico e privato) in rapporto al Pil ha raggiunto il 295 per cento in Cina, rispetto al 257 negli Stati Uniti (dati della Banca dei Regolamenti Internazionali). Secondo i calcoli di S&P Global, due terzi delle amministrazioni locali rischiano di superare le soglie di indebitamento non ufficiali stabilite da Pechino per indicare un grave stress finanziario.
INVESTIMENTI. Nel 2022 gli investimenti diretti esteri (Ide) in Cina sono crollati del 48 per cento rispetto all’anno precedente, scendendo a 180 miliardi di dollari, mentre la quota degli Ide sul Pil cinese è scesa a meno del 2 per cento, rispetto a più del doppio di un decennio fa. La competizione con Paesi come l’India e il Vietnam si sta intensificando in una fase in cui le aziende cercano di diversificare le catene di approvvigionamento. Il problema ha anche una radice domestica. Nei primi quattro mesi di quest’anno, gli investimenti fissi delle imprese private sono cresciuti dello 0,4 per cento rispetto all’anno precedente, a fronte di una crescita del 5,5 nello stesso periodo del 2019.
Numeri assoluti e percentuali che sembrano mettere a rischio la tenuta cinese e, soprattutto, la sua capacità di continuare a crescere a ritmi sostenuti nel lungo periodo.