Stavolta la frenata è più rilevante. La Cina ha davvero cambiato passo. E dato che è la seconda economia al mondo, le ripercussioni globali sono inevitabili. Dopo tre decenni di incrementi medi annui pari al 10%, il cambio di rotta nel 2014 quando è stato fissato il nuovo obiettivo del 6,5%, più “contenuto, ma sostenibile”. Ma non così facile da raggiungere, visto che nell’ultimo trimestre 2018 si è fermato 6,4% e il 2018 ha registrato la minor crescita dal 1990. L’enorme settore industriale cinese si è contratto a dicembre per la prima volta in due anni e mezzo. Sebbene i servizi siano andati meglio (+7,7%) rispetto allo scorso anno, difficilmente compenseranno il calo del manifatturiero.
L’economia cinese sta indubbiamente accusando il colpo della guerra commerciale. I dati mostrano un rallentamento dell’interscambio: nel 2018 l’export è aumentato solo del 7,1% e l’import del 12,9%, ma nel 2017 aveva registrato, rispettivamente, 7,9 e 15,9%. Ma le tensioni commerciali potrebbero non aver ancora evidenziato i loro effetti. Le imprese, infatti, hanno importato di più per accumulare scorte in previsione degli aumenti di prezzo dovuti ai dazi. E, poi, il rallentamento globale farà diminuire le esportazioni anche verso altre economie.
Altri segnali negativi provengono dai dati sul consumo. Nonostante il commercio al dettaglio e online restino vivaci, gli acquisti di automobili sono in netto calo. Nel 2018 le immatricolazioni sono state 28,1 milioni. Il che equivale al 2,8% in meno rispetto all’anno precedente. Non sarebbe una flessione drastica se non fosse la più bassa dal 1990 e se non parlassimo del primo mercato al mondo di auto.
I problemi principali però potrebbero non essere questi. Secondo Alessia Amighini, professore di politica economica (Universita' del Piemonte Orientale), “nel 2018 l’economia della Cina ha perso slancio soprattutto in seguito agli sforzi del governo per contenere gli alti livelli di indebitamento delle imprese”. Il rapporto tra attivo e passivo è diminuito per tutte e i corsi azionari ne hanno pagato le conseguenze. Il principale indice di borsa, lo Shenzhen Composite Index, dall’inizio dell’anno ha perso il 33%, contagiando anche le borse occidentali.
In un quadro così complesso, Pechino sembra essersi ritrovata a corto di soluzioni: negli ultimi decenni è stato fatto sistematico ricorso al credito "facile", che oggi però è fortemente sconsigliato. “Così come tagli fiscali, riduzione dei tassi di interesse e infrastrutture finanziate dallo Stato, ovvero quanto finora fatto – spiega Amighini - potrebbero servire a posticipare il peggio, ma non a risolverlo”.