Riportiamo i principali passaggi di un articolo sulla Cina dell’economista Alessia Amighini
Mentre Washington pensa a come contenere la Cina, Pechino accelera nell’espansione della sua influenza all’estero. A metà novembre 2020 ha concluso il più grande accordo commerciale regionale, Rcep (il Partenariato regionale del Pacifico), erede del Tpp di ispirazione statunitense (voluto da Bill Clinton e fatto naufragare da Trump).
Negli ultimi due decenni la Cina è diventata un attore dominante nel sistema economico e finanziario internazionale, è emersa come potenza economica globale non solo nel commercio ma anche sul fronte dei prestiti all’estero. In questo periodo, per la precisione tra il 1998 e il 2018, è diventata il più grande creditore ufficiale del mondo, superando anche il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale: i prestiti diretti e i crediti commerciali della Cina verso il resto del mondo sono passati da quasi zero a più di 1.600 miliardi di dollari, ovvero quasi il 2% del Pil mondiale.
I prestiti vanno per lo più a paesi a basso e medio reddito e di conseguenza la Repubblica popolare cinese rappresenta oggi un quarto del totale dei prestiti bancari ai mercati emergenti. La presenza cinese è ancor più significativa nei paesi poveri.
Da tempo, poi, la Cina persegue l’obiettivo di aumentare la circolazione della propria valuta fuori confine fino a creare un’area parallela a quella del dollaro.
A questo scopo, Pechino ha congegnato una rete molto sofisticata di accordi, istituzioni e transazioni finanziarie con un gran numero di paesi e attraverso di essa il renminbi viene usato come strumento per persuadere, convincere, attrarre e cooptare altri paesi a usare la valuta cinese. Oggi sono due gli sviluppi che avranno un effetto positivo sull’uso del renminbi come valuta nel commercio internazionale: attraverso la Bri – la Nuova via della seta – la Cina esercita pressioni affinché sia utilizzato per il commercio transfrontaliero con i paesi partner attraverso la gestione del contante e per scopi di finanziamento e investimento in tutte le diverse fasi dei progetti. Inoltre, il renminbi sta perseguendo una de-dollarizzazione di alcune aree del mondo, dalla Russia al Sudest asiatico. Svincolarsi dal dollaro, per la Cina, significa ridurre la dipendenza finanziaria, ma anche politica, per poter creare progressivamente un blocco del renminbi.
Un decennio fa la motivazione di Pechino era la reazione disillusa alla crisi finanziaria del 2008, che aveva mostrato la debolezza del sistema basato sul dollaro. A quel tempo, la Cina era pericolosamente esposta alla volatilità della valuta Usa, poiché la maggior parte delle sue passività erano in dollari, mentre la maggior parte dei suoi attivi erano in renminbi. Se la valuta cinese avesse raggiunto un ampio uso internazionale, lo squilibrio avrebbe potuto essere mitigato. Perciò influenti economisti e funzionari hanno proposto la liberalizzazione della valuta locale per stimolare la liberalizzazione finanziaria interna, come quella attuata da altri grandi paesi in passato.
Da allora la Cina ha creato un renminbi offshore guidato dal mercato, ha avviato centri di scambio in tutto il mondo con le banche designate a condurre l’attività e ha compiuto uno sforzo particolare per costruire centri di negoziazione del renminbi a Hong Kong e Londra. In tre anni il numero di banche che conducono operazioni in renminbi è salito da 900 a 10 mila. Pechino ha promosso il renminbi come valuta di regolamento per gli scambi commerciali della Cina, portando a notevoli risparmi per aziende come Samsung che non avevano più bisogno di scambiare renminbi con dollari. Ma Pechino non potrà mai liberalizzare il mercato finanziario interno, né quello valutario: il rischio di instabilità è troppo grande.
Per questo la componente politica in Cina rimane molto più grande. Il mercato per il controllo delle imprese è estremamente limitato. Anche il recente rafforzamento del sostegno al controllo centrale delle imprese statali e al consolidamento dei campioni nazionali va in questa direzione. Inoltre, il sistema legale è ora sotto un controllo politico ancora più stretto. Sono soprattutto i controlli sul capitale a essere stati rafforzati, e non allentati come ci si aspettava.
Attraverso un rafforzamento della sua statecraft finanziaria, in casa e con l’estero, Pechino punta così a svincolarsi pian piano dal dollaro e dagli Stati Uniti.