Gli investimenti esteri diretti (Ide) in Africa dipendono ancora troppo dalle materie prime. E nel 2017 sono scesi a 41,5 miliardi di dollari a fronte dei 52,5 mld registrati nel 2016. Si tratta di un calo del 21%, perlopiù a causa dell’aumento del prezzo del petrolio. Sono i dati elaborati nel World Investment Report 2018 dell’Unctad, l’agenzia Onu specializzata in commercio e sviluppo.
Gli Ide sono diminuiti meno nell’Africa orientale (-3%) e del nord (-4%) rispetto a quella occidentale (-11%). A pagare il prezzo più alto, invece, sono stati i paesi dell’Africa centrale (-22%) e, soprattutto, quelli meridionali (-66%).
I paesi che attraggono flussi più consistenti di capitali stranieri sono quelli che producono beni manufatti o che si affidano alle nuove tecnologie. L'Etiopia, ad esempio, ha attratto 3,8 mld grazie a costi di produzione inferiori a quelli di Cina e Bangladesh. Ora è il secondo paese del continente per afflusso di capitali dietro l'Egitto. Il Marocco ha ricevuto 2,7 mld, grazie in particolare alla divisione automobilistica di Tangeri (+ 23% rispetto al 2016). Ma è in Kenya che gli Ide sono schizzati: +71%, anche se il volume sembra ancora modesto con 672 mln.
I paesi dipendenti dal loro sottosuolo, al contrario, soffrono: la Nigeria ha visto un calo del 21% degli Ide e il Sud Africa ha segnato il -41%. In Angola, paese petrolifero per eccellenza, il tasso di investimento è diventato persino negativo.
Il rapporto Unctad annuncia anche due buone notizie. La prima è che stanno aumentando gli investimenti tra paesi africani. Il dato evidenzia un più 8% e un volume di 12,1 mld. Il Marocco vince la palma della progressione con il 66% di miglioramento da un anno all'altro. Il Sudafrica è secondo con il 64%, ma in questo caso pesa la difficile situazione interna che spinge gli operatori a guardare verso altri paesi. La seconda buona notizia è che Unctad scommette su un ritorno a favore del continente da parte degli investitori nel 2018. Si prevede un aumento del 20% dei capitali esteri. Ammesso che Trump non destabilizzi i mercati a tal punto da contrarre, ulteriormente, anche il flusso verso l’Africa.