Quella dell’Argentina è una storia caratterizzata dall’alternarsi di gravi crisi politiche, economiche e sociali che hanno portato a 9 default sui titoli sovrani, il numero più alto mai registrato nel mondo.
Eppure, all’inizio del Novecento, l’Argentina era uno dei Paesi più ricchi, con un Pil molto vicino a quello di Francia e Germania. Durante il secondo dopoguerra, la prosperità economica dello Stato sudamericano non aveva eguali. L’Argentina, per la prima volta nella sua storia, si trovava a essere creditrice delle economie più avanzate, grazie alle massicce esportazioni di carni e grano alle potenze belligeranti.
Tutto ciò permise al governo di Juan Domingo Perón, eletto nel 1946, di attuare un programma nazionalista e statalista, che prevedeva forti investimenti in istruzione e salute, più poteri alla classe operaia, nazionalizzazione della banca centrale argentina e dei trasporti.
Tra le decisioni attuate da Perón, quella che introdusse il controllo statale su tutti gli enti stranieri che operavano nel Paese, cominciò ad allontanare gli investitori internazionali e contribuì a rendere l’economia argentina via via meno competitiva agli occhi del resto del mondo.
Da quel momento in poi, per oltre ottant’anni, si sono succeduti governi e dittature che hanno adottato politiche molto diverse tra loro e finanziato ingenti piani grazie alla collaborazione con la Banca centrale argentina, che ha continuato a stampare moneta ogni qualvolta fosse necessario. Ma questa pratica, definita monetizzazione del debito e ormai abbandonata da tutte le economie più avanzate, ha un pericoloso effetto boomerang: non fa altro che creare inflazione su inflazione e impoverire le fasce più deboli della popolazione.
Il resto è la storia recente di un Paese ricco di risorse ma economicamente povero allo stesso tempo che non riesce a compiere concreti passi in avanti. Anzi, appare sempre sull’orlo dell’ennesima crisi.