Nel Sahel l’impegno militare e aiuto allo sviluppo francesi lottano per lo stesso obiettivo: liberare l’area dai gruppi jihadisti. Questa convergenza è stata voluta da Emmanuel Macron. La sua idea è che il miglioramento socio-economico non può avere in ogni caso luogo in condizioni di alta instabilità politico-militare.
Per dare concretezza alle intenzioni il presidente francese ha annunciato per il Sahel un primo progetto da 10 milioni di euro destinati all’istruzione nella regione di Mopti. La cifra è significativa: equivale a un decimo del budget annuo del ministero dell’Istruzione del Mali.
Il problema è che spesso i progetti di cooperazione si rivelano un fallimento. Prova a spiegare il perché il ricercatore Serge Michailof, che osserva come nel decennio precedente la crisi del 2012 il Mali ha assorbito un miliardo di dollari di aiuti l’anno per ritrovarsi alla fine in uno stato imperversato da bande di jihadisti. Come si può, pertanto, immaginare che raddoppiare gli aiuti finanziari senza modificare il metodo con il quale tali fondi sono concessi possa essere sufficiente per favorire l’uscita dalla crisi dei paesi africani?
Ma poi basterà cambiare il metodo? Come sostiene Tertius Zongo, ex primo ministro del Burkina Faso, tutti i donatori parlano di coordinamento ma nessuno vuole essere coordinato.
Tuttavia, il rischio maggiore è che imponendo soluzioni sconnesse con la storia dei paesi africani si possa finire per peggiorare la situazione.