Nessuno, o forse pochi, si aspetterebbero l’aumento della disuguaglianza in Svezia, dove il welfare state è ancora una colonna portante dell’intervento pubblico nell’economia. Invece, è così: il paese ha visto un rapido aumento della disuguaglianza dagli anni '90.
Nella società dove un tempo l’uguaglianza era un traguardo da sfoggiare, i cambiamenti sono sbalorditivi. Fino a poco tempo fa, solo i super-ricchi potevano permettersi, ad esempio, domestici e più di una villa. Oggi, è la norma non più per l’1% della popolazione bensì per il 10%. Che mediamente possiede un appartamento in città, una casa estiva su una delle isole svedesi e un cottage in una delle località sciistiche oppure un bungalow su una spiaggia tailandese.
Cosa è accaduto? È cambiata la politica fiscale. La parte più abbiente della società ha beneficiato di enormi tagli fiscali. Come in molti altri paesi Ocse, l'ineguaglianza è stata alimentata dall'abolizione di alcune forme di tassazione fortemente redistributive. Oggi, la Svezia non prevede imposte su eredità e donazioni, tantomeno tasse sulla proprietà o sulla ricchezza. Inoltre, il governo di destra al potere dal 2006 al 2014 ha introdotto riduzioni fiscali orientate ai percettori di reddito elevato. Al contempo, il welfare state, sempre più basato sul sistema dei voucher, è diventato meno inclusivo.
Occorre evidenziare che, dal 2014 al 2018, in Svezia è stata al governo una coalizione composta da socialdemocratici e Verdi, che a parte alcuni interventi minori non ha introdotto alcuna modifica strutturale in tema di fisco e stato sociale.
Di conseguenza, le disuguaglianze hanno continuato a crescere. A vantaggio di quel 10%, che oggi racconta uno svedese che non ha bisogno di cucinare o occuparsi del ménage domestico. Ha le camicie stirate da qualcuno regolarmente retribuito (e fiscalmente deducibile). Può permettersi più di un mutuo immobiliare. Uno svedese fortunato, ma sempre più distante dal resto del paese scandinavo.