Come un capriccio della storia e delle guerre balcaniche, un angolo della Croazia è isolato dal resto del paese da un'interruzione di 19 chilometri di terra appartenente alla vicina Bosnia. È una spaccatura che la Croazia ha tentato a lungo di colmare con un ponte che unirebbe la disconnessione della sua costa più meridionale con il resto del paese. Ma non c’è mai riuscita. Il risultato massimo è stato impiantare qualche pilone e niente più.
Fino alla scorsa estate quando sono arrivati i cinesi. Una società statale, la China Road and Bridge Corporation, ha aderito al progetto di costruzione del ponte. E per la prima volta un piano finanziato in gran parte con fondi europei è stato affidato a un'azienda cinese.
Sebbene numerosi croati esultino, l'infrastruttura è un banco di prova anche per l'Ue, che è stata fino ad ora cauta nel permettere alle imprese cinesi di entrare nelle "grandi opere", temendo che le aziende della seconda economia al mondo possano minare la concorrenza, calpestare il diritto del lavoro e deprimere i salari.
Perché? In genere, le imprese fanno venire dalla Cina i lavoratori. Si tratta di una pratica controversa a tal punto che non è chiaro se le autorità croate sappiano, ad esempio, quanto saranno pagati i lavoratori. E il ribasso eccessivo dei costi spiazza le imprese europee.
Il progetto del ponte sull'Adriatico conferma l'obiettivo di Pechino di stringere relazioni con i leader dei paesi balcanici e dell'Europa dell'est. Ma c'è chi a Bruxelles non vede di buon occhio questa strategia, un'ouverture giudicata come un velato tentativo di minare il blocco europeo.