Da oggi, 5 novembre, tornano in vigore le sanzioni Usa contro l’Iran. Su Twitter il presidente Donald Trump ha postato una sua foto con la scritta "Sanctions are coming", parafrasando la nota serie tv Game of Thrones, "Winter is coming".
Il segretario di Stato Mike Pompeo e quello del Tesoro, Steve Mnuchin, hanno annunciato che le sanzioni colpiranno soprattutto operatori portuali, spedizioni marittime, cantieristica navale, oltre che il settore energetico e quello finanziario.
Trump credeva di poter mettere il mondo di fronte a una scelta: Washington o Teheran. Ma il suo sogno - non vedere più petrolio iraniano in giro per il mondo - sembra già svanito. Il governo statunitense ha capito che non è poi così semplice vietare a tutto il mondo di acquistare greggio dal quarto esportatore mondiale.
Sì è passati così dalla “tolleranza zero” a una lista di otto Paesi (Cina, Corea del Sud, Giappone, Grecia, India, Italia, Taiwan e Turchia) a cui saranno concesse esenzioni. La spiegazione di Mike Pompeo, segretario di Stato americano, non convince del tutto: "Escluderemo alcuni Paesi ma solo perché stanno riducendo le importazioni di petrolio dall’Iran".
In realtà Cina e India (primo e secondo importatore di greggio iraniano) avevano precisato fin dall’inizio di non condividere le nuove sanzioni. Tuttavia, insieme ai due alleati asiatici degli Usa (Giappone e Corea del Sud), Pechino e New Delhi hanno effettivamente ridotto il loro import dall'Iran. Ecco perché (questa è la spiegazione ufficiale), i primi quattro acquirenti di greggio iraniano potranno continuare a importare il petrolio da Teheran.
La Turchia, invece, rappresenta un caso a parte. Il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva precisato da tempo di non voler aderire alle sanzioni. L’Iran confina con la Turchia (che peraltro importa il 90% del greggio che consuma), e fornisce da tempo più del 25% dei consumi turchi di greggio. Ma Ankara non avrebbe comunque interrotto le relazioni commerciali con Teheran. E la crisi tra Stati Uniti e Turchia si sarebbe aggravata. Per tale ragione anche quest'ultimo paese fa parte della lista degli esentati.
Seppure in quantità più modeste, dunque, il petrolio iraniano continuerà ad essere esportato. Goldman Sachs si aspetta di vedere le esportazioni iraniane scendere dai 2,5 milioni di barili al giorno della scorsa primavera a 1,15 entro fine anno. Ciò conferma che le sanzioni sono uno strumento estremo. Per essere efficaci è necessario che vi aderisca il più ampio numero possibile di Paesi. Cosa che non sta accadendo oggi.
E, forse, a non credere poi così tanto al sistema delle sanzioni sono proprio gli Stati Uniti, visto che il prezzo del petrolio sarebbe salito troppo anche per Washington se avessero aderito tutti i paesi strategici.