Se la guerra della Federazione Russa contro l’Ucraina ha rivelato la dipendenza industriale della Germania da Mosca, in Francia ha messo a nudo un altro tipo di dipendenza: un fascino fatale per la Russia. A sinistra assume la forma di una reliquia della rivoluzione bolscevica e dell’antiamericanismo. Se il Partito comunista francese ha lasciato cadere la falce e il martello dalla tessera di iscrizione solo nel 2013, un motivo ci sarà. A destra, la Russia è attraente per il suo nazionalismo patriottico e la leadership autoritaria. E non solo. Le campagne di Marine Le Pen sono state in parte finanziate da una banca russa.
In gioco, tuttavia, non ci sono solo destra e sinistra. Da giovane, Jacques Chirac, un ex presidente gollista che cercava un mondo multipolare per controbilanciare l’egemonia americana, ha ricevuto la più alta onorificenza prevista in Russia; Parigi ha conferito a Vladimir Putin la legion d’onore. François Fillon, un primo ministro del centro-destra, è stato più volte ospite di Putin. Anche se il giorno dopo l’entrata dei carri armati di Mosca in Ucraina, Fillon ha lasciato le posizioni nei consigli di amministrazione di due aziende russe.
Ma sull’asse Parigi-Mosca non è stato certo tutto rosa e fiori. François Hollande, un ex presidente socialista, ha annullato un contratto francese per consegnare due navi da guerra classe Mistral alla Russia dopo l’annessione della Crimea (2014). Il filosofo Bernard-Henri Lévy ha esortato per anni la Francia a fare di più per resistere all’aggressione russa in Ucraina.
Venendo all’attualità, più di ogni altro leader europeo, il presidente francese pensava di poter convincere Putin a non andare in guerra. Ma ha fallito, probabilmente insieme alla sua speranza di includere un giorno la Russia in una “nuova architettura di sicurezza europea”, per evitare che cada nelle braccia della Cina. Una speranza castrata da una guerra che non sembra vedere una fine.
Questo è un momento critico per Macron. Il presidente francese, che non parla con Putin dal settembre 2022, sembra attraversare una fase di profonda difficoltà, diviso dall’aumento degli aiuti militari all’Ucraina e dal ruolo di mediatore che al momento sembra riuscire meglio al presidente turco Erdogan. E anche il ruolo di leader europeo, favorito dall’uscita di scena di Angela Merkel, non brilla più come un tempo. Quando il gioco si fa duro, il cavallo di Macron non galoppa, al massimo va al trotto. L’approvazione della riforma delle pensioni in Francia (dove il sistema ancora oggi è a ripartizione, come era in Italia per tutti fino alla legge Dini del 1995, quando poi si è passati al modello contributivo), avversata da una fetta rilevante della popolazione francese, presto ci dirà quanto il leader dell’Eliseo può permettersi di fare il duro, quantomeno in ambito domestico.
Fattori nazionali che si intrecciano a quelli esteri, rivelando una scollatura a doppio filo con l’orientamento dell’esecutivo transalpino: tre quinti dei francesi – secondo i sondaggi – dichiarano di avere un’opinione positiva dell’ucraino Volodymyr Zelensky e meno di uno su dieci di Putin. Così come le mobilitazioni contro la riforma previdenziale, che vuole aumentare l’età pensionabile da 62 a 64 anni, stanno ostacolando gli obiettivi del governo.