Come si approcciano le testate giornalistiche ai vari conflitti in giro per il mondo? Due ricercatori, Esther Brito Ruiz e Jeff Bachman, hanno preso in esame uno dei quotidiani più influenti al mondo, il New York Times, e come racconta in particolare due guerre: quella nello Yemen e quella in Ucraina, dove gli statunitensi sono parimenti coinvolti.
La guerra nello Yemen è cominciata nel 2015 e ha provocato centinaia di migliaia di vittime. Da una parte ci sono i ribelli huthi, appoggiati dall’Iran, che si fronteggiano con una coalizione guidata dall’Arabia Saudita e sostenuta dagli Stati Uniti.
“La nostra ricerca mostra forti distorsioni nella portata e nel tono della copertura – spiegano i due ricercatori -. Queste distorsioni conducono a un’informazione che evidenzia o sminuisce le sofferenze umane in un modo che apparentemente coincide con gli obiettivi di politica estera degli Stati Uniti”.
Gli articoli sullo Yemen usciti nel New York Times tra il 2015 e il 2022 sono stati 546. Quelli sull’Ucraina hanno superato questa cifra in meno di tre mesi. I titoli sullo Yemen riguardano soprattutto i singoli eventi, mentre quelli sull’Ucraina mettono più enfasi sul contesto. Il motivo è semplice: “Concentrandosi su fatti isolati o contestualizzati, i mezzi d’informazione sono in grado di portare i lettori a interpretazioni diverse”.
Prendendo ad esempio la sicurezza alimentare, le azioni russe che bloccano le esportazioni di grano sono descritte come un’arma di guerra, mentre quelle della coalizione saudita, che pure hanno portato lo Yemen sull’orlo della carestia, sono raramente definite nello stesso modo. Gli Stati Uniti criticano la disumanità delle atrocità russe in Ucraina, mentre tacciono su quelle saudite nello Yemen.
Il punto non è stabilire una gerarchia, ma essere consapevoli che le guerre non sono raccontate tutte nello stesso modo.