
Alla fine il presidente statunitense è finito in un ‘cul de sac’ e si è evidentemente spaventato. I mercati hanno bruciato qualcosa come 10mila miliardi di dollari in pochi giorni. Persino i suoi più stretti alleati, come Elon Musk, gli hanno consigliato di fare un passo indietro. E così è stato: dazi (reciproci) sospesi per 90 giorni (con l’eccezione cinese).
Ad essere decisiva è stata la tensione sui titoli di Stato a stelle e strisce. Se l’asta di ieri (9 aprile) dei 39 miliardi di titoli a 10 anni è “andata bene”, secondo la Casa Bianca, pur con rendimenti oltre il 4%, quella dell’8 aprile a 30 anni è stata un mezzo disastro. Un pessimo segnale.
E tra tutti gli acquirenti, chi può far saltare il banco davvero è la Cina. Pechino, che con i suoi 759 miliardi di dollari in bond statunitensi in pancia è il secondo detentore di debito statunitense dopo il Giappone (Tokyo ha in portafoglio mille miliardi di dollari), può esercitare una notevole pressione finanziaria.
Il pensiero strategico cinese ha chiaro l’orizzonte da perseguire sul lungo periodo (diventare la potenza egemone a livello mondiale) e i metodi per realizzarlo (usando il soft power).
Intanto, mercoledì c’è stata anche una lunga telefonata tra Ursula von der Leyen e il premier cinese, Li Qiang, che ha di fatto riaperto la “via della Seta” per le imprese europee. Un avvicinamento confermato dall’incontro avvenuto anch’esso il 9 aprile tra la presidente della Bce, Christine Lagarde, e un alto funzionario della Banca centrale cinese.