Nel suo primo discorso al Senato della Repubblica, Mario Draghi ha parlato di alcune riforme da attuare. Tra queste, quella della pubblica amministrazione. “L’altra riforma che non si può procrastinare è quella della pubblica amministrazione. La riforma dovrà muoversi su due direttive: investimenti in connettività con anche la realizzazione di piattaforme efficienti e di facile utilizzo da parte dei cittadini; aggiornamento continuo delle competenze dei dipendenti pubblici, anche selezionando nelle assunzioni le migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza costringere a lunghissime attese decine di migliaia di candidati". E poi. “Per riuscire a spendere e spendere bene, utilizzando gli investimenti dedicati dal Next Generation Eu occorre irrobustire le amministrazioni meridionali, anche guardando con attenzione all’esperienza di un passato che spesso ha deluso la speranza”.
Parole condivisibili. La nostra amministrazione pubblica è stata capace di spendere soltanto il 30% circa dei fondi europei resi disponibili per l’ltalia nel periodo pre-pandemico. Sembra incredibile, ma è così.
Quello che spesso è stato considerato un ministero di secondo livello, il dicastero della Pubblica amministrazione, assume così un’importanza centrale. Non c’è dubbio che Draghi sarà in grado di presentare un ‘buon’ Recovery Plan. Ma il vero problema sarà la capacità del nostro paese di spendere in modo efficace ed efficiente quel fiume di risorse finanziarie. Ecco allora che per riuscire in quella che potrebbe apparire una ‘mission impossible’, cioè rendere la PA capace di gestire gli ingenti fondi europei, occorre una personalità di elevato livello. Renato Brunetta, anche alla luce della sua precedente esperienza proprio nello stesso ministero con il Governo Berlusconi, non sembra corrispondere esattamente a quel profilo suddetto.
Un altro ‘scivolone’ di Draghi è collegato al mercato del lavoro. “È necessario investire nella formazione del personale docente per allineare l’offerta educativa alla domanda delle nuove generazioni. In questa prospettiva particolare attenzione va riservata agli Istituti tecnici. In Francia e in Germania, ad esempio, questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo. È stato stimato in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale. Il Programma nazionale di ripresa e resilienza assegna 1,5 miliardi agli Istituti tecnici, 20 volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano sprecate”, ha sottolineato Draghi. D’accordo, gli istituti tecnici sono importanti, ma Draghi non ha affrontato l’altra faccia della stessa medaglia: l’Italia ha soprattutto un problema di scarsità di laureati. Da questo punto di vista, il nostro paese è fanalino di coda nell’Ue.
C’è poi la geopolitica. E qui il neo premier sorprende. Questo governo nasce “nel solco dell’Ue e dell’Alleanza atlantica”, spiega l’ex governatore della Bce. Già, ma il mondo sta andando sempre più verso oriente. Tra pochi anni, la Cina diventerà la prima economia al mondo surclassando gli Stati Uniti che a lungo hanno detenuta la palma d’oro. Eppure, nel suo discorso Cina e Russia vengono nominate ‘solo’ per gli aspetti (certamente deprecabili) connessi alla compressione dei diritti.
Tre aspetti importanti sui quali da Draghi ci si aspettava qualcosa in più.