Se pensi davvero a un piano B, l'uscita dell'Italia dall'euro, non lo dichiari pubblicamente. Lo attui in un dato momento, senza preavviso. Ma sarebbe costoso per la seconda economia dell'eurozona e anche per gli altri paesi dell’Unione. E affinché possa indurre ad ottenere concessioni dalla controparte, una minaccia – in questo caso la rinegoziazione delle regole fissate da Bruxelles o, in caso di fallimento delle trattative, l'Italexit - deve avere due caratteristiche: essere credibile e colpire l’avversario.
Sul secondo punto non ci sono dubbi. Un’uscita dell’Italia scatenerebbe il caos nei mercati finanziari e metterebbe in discussione l’esistenza della moneta unica. Con un deprezzamento della valuta, l’Italia sarebbe, nel breve termine, un concorrente temibile su molti mercati per gli altri paesi dell’Unione. È ben più grande della Grecia, che è invece troppo piccola per poter spaventare i partner europei. In merito alla credibilità, al contrario, la questione si fa più complessa. L’uscita dall’euro, infatti, danneggerebbe le famiglie italiane, che si ritroverebbero con i loro risparmi in una moneta svalutata.
Sia il M5s che la Lega hanno sostenuto durante la campagna elettorale l’opportunità di ridiscutere le regole europee. Ora si vedrà se proveranno ad attuare quanto promesso. Quello che sappiamo con certezza è che, non appena si è percepito il rischio di ridenominazione del debito pubblico italiano, c’è stata un’ondata di vendite con relativa risalita dello spread.
Se si sbandiera orgogliosamente la minaccia di uscire dall’euro, il rischio è che potrebbero essere gli euro delle famiglie italiane a uscire prima dai confini nazionali. Proprio per arginare la fuga di capitali, la Grecia nel giugno 2015 ha dovuto introdurre rigidi controlli. D’altronde, chi vorrebbe stare in una stanza con qualcuno (il governo) che ha una pistola senza sapere se è carica.