Draghi cede all’evidenza: l’economia europea sta rallentando più del previsto e, dunque, ha bisogno degli stimoli della Bce. "A dicembre abbiamo deciso di mettere fine al quantitative easing, fiduciosi che la convergenza dell'inflazione verso l'obiettivo sarebbe progredita", ha spiegato il governatore. Che ha, poi, aggiunto: "I recenti sviluppi sono stati più deboli rispetto alle attese e le incertezze globali restano alte. Non c'è, quindi, spazio per il compiacimento e uno stimolo significativo è ancora necessario".
Allo stesso tempo, Draghi rivendica i progressi compiuti in questi anni nell'Eurozona: “Abbiamo avuto 22 trimestri consecutivi di crescita economica e oggi ci sono 9,6 milioni di persone occupate in più rispetto al secondo trimestre 2013, quando il numero delle persone al lavoro aveva toccato il livello più basso durante la crisi. Il tasso di disoccupazione è sceso al 7,9%, il livello più basso dall'ottobre 2008. Il tasso di occupazione nella classe di età 15-74 anni è passato dal 54% nel 1999 al 56,9% nel secondo trimestre 2018, il tasso più alto mai raggiunto nell’Eurozona”. Tuttavia, la crescita sta rallentando.
Draghi non vuole comunque inviare messaggi pessimistici. "Oggi possiamo dire che l'Eurozona è uscita da una crisi così grave che ha minacciato più volte la sua stessa esistenza. Siamo fuori prima di tutto per la resilienza, l'energia, la capacità imprenditoriale dei cittadini europei". Un chiaro messaggio in vista della campagna elettorale per il voto europeo che si preannuncia come uno scontro tra pro-Ue e il fronte euroscettico e sovranista.