Il comico Vladimir Zelensky ottiene il 30% delle preferenze, seguito dal presidente in carica Petro Poroshenko con il 18%. È la fotografia scattata dagli exit poll alla chiusura dei seggi elettorali in Ucraina. Yulia Timoshenko, la zarina del gas data al secondo posto dagli osservatori, si sarebbe invece fermata al 14%, restando così esclusa dal ballottaggio del 21 aprile prossimo. Ora la palla passa agli scrutatori per il processo della conta dei voti: la legge prevede fino a 10 giorni di tempo - ovvero fino al 10 aprile - per la conferma ufficiale dei risultati.
Un esito che il paese, attanagliato dalla crisi economica, attende. I problemi finanziari dell’Ucraina risalgono a prima della rivoluzione del Maidan, al 2013: quando è ancora al potere il presidente filo-russo Viktor Yanukovich che chiede aiuto all’Ue: riceve un'offerta da Bruxelles di 3 miliardi di euro. Ma, per sopravvivere alla recessione, all’Ucraina sarebbe servito di più. I russi, allora, mettono sul piatto 14 miliardi. Invece, arriva la guerra e la perdita della Crimea. Così, tra il 2014 e il 2015, l’Ucraina perde il 13-15% del Pil e diventa il solo tra quelli dell’ex Urss a non esser risalito ai livelli del 1991, quanto a Pil pro capite. E ora è tra i più poveri d’Europa: il salario medio equivale a 310 euro, le pensioni tra i 50 e i 75 euro.
In questa situazione, cresce l’esercito di chi cerca lavoro altrove: su una popolazione in età lavorativa di 17,8 milioni di persone, in 7-9 milioni hanno lasciato il Paese. La maggior parte in Russia, malgrado tutto. Altri in Polonia, dove gli operai guadagnano 800 euro. Non 100 come in Ucraina.
Come un felino in agguato, il Cremlino attende che il paese esausto accetti l’aiuto già offerto nel lontano 2013?