Il premier turco ha vinto le elezioni con il 53% delle preferenze e il suo rivale, Muharrem Ince del Partito popolare repubblicano, ha ammesso la sconfitta. Ma il paese esce dalle elezioni spaccato a metà. Il plebiscito per Erdogan non c'è stato e il leader più longevo della Turchia moderna appare stanco.
Il partito filo-curdo, noto come Hdp, ha ottenuto l'11,67% dei voti, superando la soglia del 10% necessaria per entrare in parlamento. Ciò ha, di fatto, diluito la maggioranza del partito al governo di Erdogan, l'Akp.
Nonostante ciò, il presidente si accinge ad assumere nuovi poteri straordinari approvati in un referendum dello scorso anno, funestato da accuse di frode. Avrà il controllo completo del gabinetto e la possibilità di nominare alti giudici e funzionari. Potrà emettere decreti con la forza di legge e il suo governo non avrà bisogno della fiducia del parlamento. In questo modo Erdogan potrà dominare la scena politica della Turchia per anni e forse decenni a venire, governando fino al 2028.
Il leader turco aveva indetto ad aprile elezioni anticipate – con quindi soli due mesi di anticipo - nella speranza di anticipare il peggioramento previsto dell’economia e cogliere l'opposizione di sorpresa. Sembrava destinato a vincere facilmente e, invece, non è andata come sperava.
L’economia, in preda a una crisi valutaria, è precipitata nelle scorse settimane, costringendo la banca centrale ad aumentare ulteriormente i tassi di interesse. Sono anche saliti i timori sulla possibilità di riuscire a ripagare gli 880 miliardi di debiti in dollari contratti dalle imprese turche.
Al contempo, l'opposizione è riuscita in un tempo ristretto ad organizzare un’efficace campagna elettorale soprattutto nelle tre principali città turche: Ankara, Istanbul e Smirne. Il risultato di questo sforzo si può leggere anche in un’alta affluenza: 87%.
Erdogan ha, così, sdradicato l’orientamento occidentale lasciato in eredità dal fondatore delle Repubblica turca, Mustafa Ataturk. Ha allontanato ancora di più il suo paese dall’Unione europea e dalla Nato, paventando l’adesione al blocco euroasiatico Russia-Cina.
Tuttavia, non è tutta qui la storia di quest'uomo solo al comando. Nei 15 anni al potere è riuscito a far crescere il paese al ritmo medio del 6% annuo, ha esteso la copertura sanitaria pubblica e aumentato gli investimenti infrastrutturali. Oggi la Turchia è tappezzata di strade, ponti e ferrovie. Qualcosa che i turchi non hanno dimenticato in cabina elettorale. Forse, però, non in molti hanno ricordato le centinaia di attivisti e giornalisti detenuti in carcere con accuse infondate e che hanno fatto sprofondare il paese nell'abisso del regime.