Nei prossimi giorni, il parlamento cubano designerà il successore di Raúl Castro alla presidenza del paese centro-americano. Sarà probabilmente il primo vicepresidente, Miguel Díaz-Canel, e sarà anche la prima volta che a governare Cuba ci sarà qualcuno senza il nome di Castro da quando Fulgencio Batista è fuggito dal paese nel 1958 e Fidel Castro ha preso il potere il primo gennaio del 1959.
Si sa poco di Díaz-Canel, anche a Cuba. Nel corso degli anni ha saputo mantenere un basso profilo e, soprattutto, rimasto fedele al cognome che conta. La famiglia Castro continuerà a influenzare qualsiasi futuro governo sull’isola. Anche se si dimetterà dalla presidenza, Raúl Castro, 87 anni, rimarrà il segretario generale del Partito comunista (l'unico partito ufficiale, che definisce l'agenda dello stato) e manterrà il suo posto come capo delle forze armate, che controllano una larga fetta dell'economia nazionale.
Anche se il signor Díaz-Canel nutrisse celati desideri riformisti, si dovrebbe scontrare con gli oltre 600 delegati dell'Assemblea nazionale, che scelgono il presidente e il Consiglio di Stato - il più alto organo di governo – e che provengono dal ventre della rivoluzione.
Tuttavia, nel 2010, lo stesso Raúl Castro aveva ammesso che il sistema economico di Cuba stava fallendo. Il cordone ombelicale con il Venezuela che ha fornito fino ad ora a Cuba petrolio a buon mercato, si sta per spezzare. Le leggi del 2014 volte ad aprire l'economia agli investimenti esteri non hanno raggiunto i loro obiettivi. Anche i decantati successi della rivoluzione - sanità e istruzione – sono ormai sulla via della decadenza, messi in ginocchio dalla riduzione degli investimenti statali.
Che il signor Díaz-Canel lo voglia o no, il paese deve affrontare difficili decisioni economiche. La principale sfida sarà l'unificazione del sistema a “doppia moneta” di Cuba, che consente di utilizzare un tasso di cambio fissato ad hoc per il commercio estero.
Ma il cambiamento non sarà indolore, anzi porterà inflazione e disoccupazione. Gli Stati Uniti lo sanno e farebbero bene a dare il loro contributo affinché l’implosione economica di Cuba non avvenga, anche perché produrrebbe disordini sociali e ondate di migranti verso le coste statunitensi.