Ma cio’ ostacola la capacità delle isituzioni di rispondere rapidamente a situazioni emergenziali come un’epidemia.
L’esplosione della Sars nel 2002-2003 avrebbe potuto essere contenuta molto prima se i funzionari cinesi non avessero deliberatamente nascosto informazioni rilevanti. Dopo l’implementazione di adeguate misure, la Sars fu contenuta in pochi mesi.
Eppure, sebbene il primo caso di Coronavirus sia stato segnalato l’8 dicembre, la Commissione sanitaria municipale di Wuhan non ha emesso alcun avviso ufficiale per settimane. E da allora, i funzionari di Wuhan hanno minimizzato la gravità della malattia. Si è per settimane sostenuto che non vi era alcuna prova della possibile trasmissione tra gli esseri umani. Fino al 5 gennaio è andata avanti così. In realtà 59 casi erano già stati confermati.
Persino dopo il segnalamento del primo decesso, l’11 gennaio, la Commissione ha continuato a insistere sul fatto che non c’era una prova certa della trasmissibilità tra gli esseri umani. È in quei giorni che la censura ha arginato la diffusione delle notizie, grazie al controllo del governo su Internet, i media e società civile.
Solo dopo il 20 gennaio - a seguito della notizia di 136 nuovi casi a Wuhan, nonché a Pechino e nel Guangdong - il governo ha cambiato strategia. Non potendo più nascondere l’evoluzione dei fatti, ha deciso di adottare misure drastiche per mostrare al resto del mondo quanto fosse forte l’impegno per debellare il virus, come ad esempio, il divieto di viaggiare su Wuhan e le città vicine nella provincia di Hubei, che insieme hanno una popolazione di 35 milioni di abitanti.
A questo punto, la gestione errata della fase iniziale, significa che altre migliaia di persone rischiano di essere infettate. E l’economia, già indebolita dal debito crescente e dalla guerra commerciale, potrebbe subire un altro colpo. D’altronde, la sopravvivenza di un sistema monopartitico dipende dalla segretezza, dalla repressione dei media e dai vincoli alle libertà civili.