La Cina non rappresenta il futuro dell’intelligenza artificiale perché la Cina è già il regno di quella che gli statunitensi chiamano AI. Manca solo un piccolo passo per spodestare definitivamente la Silicon Valley e insediarla a Pechino, dove hanno sede decine di colossi tecnologici, come Xiaomi, Baidu, Meituan, and Toutiao.
E quel piccolo passo trova ostacoli di natura esterna, per esempio le restrizioni poste dagli stati esteri a una eccessiva penetrazione tecnologica cinese, come per lo stop imposto dalla Casa Bianca all’acquisto, da parte del super colosso Ali Baba, di MoneyGram, e altri ostacoli di natura interna, come per esempio le limitazioni poste dal governo centrale agli investimenti cinesi all’estero e la scarsa propensione dei cinesi a finanziare, attraverso la borsa, le imprese nazionali.
Ma, se pur ci sono ostacoli interni al definitivo decollo dell’intelligenza artificiale sotto la Grande Muraglia, sono state proprio le potenti agevolazioni interne a fare da propellente finora. La numero uno delle facilitazioni è la quasi totale assenza del concetto di privacy. Qui il diritto alla riservatezza non solo non è rispettato ma è visto con sospetto. Le norme agevolano le grandi imprese tech, i cui ingegneri hanno gioco facile nel raccogliere dati personali e sviluppare gli algoritmi di classificazione sociale.
La voce di quoted
Cambridge Analytica in versione cinese. Nella seconda economia al mondo le multinazionali tecnologiche possono saccheggiare i dati dei propri concittadini e usarli per conquistare i mercati esteri. Dunque, la lista delle pratiche commerciali di Pechino al limite della correttezza si allunga, grazie anche alla rivelazione di Project Syndicate. Oltre al dumping base, cioè quello commerciale e salariale, a cui si sono poi aggiunti quello sociale, fiscale e ambientale, ora arriva l’ultimo, il dumping “personale”. Le aziende che parlano mandarino hanno buon gioco a sviluppare i migliori algoritmi di profilazione, quindi vincenti anche all’estero, perché “in casa” non hanno intralci dal diritto alla privacy. Sarebbe utile un intervento del Wto, prima che a rispondere sia ancora una volta Trump, e le sue scelte, in apparenza, incomprensibili.