Il 20esimo Congresso del Partito comunista cinese, che si è aperto il 16 Ottobre a Pechino alla presenza di circa 2.300 delegati, non è un evento come gli altri. Il presidente Xi Jinping, in carica dal 2012, si avvia verso il terzo mandato alla guida del partito, per la prima volta nella storia, attestandosi a divenire il leader cinese più influente dai tempi di Mao Zedong.
Tra le prove politiche che si prospettano a Xi nel suo terzo mandato, ci sono l’economia e le misure restrittive relative alla pandemia. La politica ‘zero covid’ perseguita da Pechino ha portato a un isolamento della Cina. Al contempo, sul piano interno, le cose non vanno meglio: l’adozione esasperata di misure draconiane finalizzate ad arginare il virus ha esasperato ampi strati della società.
Nella nuova ‘ricetta’ di Xi per la Cina c’è anche un rigido controllo dell'imprenditoria privata, proprio quella che aveva rappresentato una delle ragioni del successo dell'economia negli ultimi quattro decenni. Nel frattempo, per la prima volta, nel 2022 la Cina non raggiungerà l’obiettivo di crescita del Pil – fissato al 5,5% soltanto lo scorso marzo – e sarà molto più vicina al 2,5% (anche se ampliando l’orizzonte si nota che dal 2001 al 2021 l’economia cinese è cresciuta del 980%).
Oggi il paese si trova, così, ad affrontare crisi multiple, dalle interruzioni alle supply chain (le catene globali del valore) all’aumento dei prezzi e a una grave crisi immobiliare. Anche i crescenti timori di una recessione globale, innescata dalla guerra in Ucraina, non remano a favore. Nel medio periodo, tuttavia, le due grandi rivoluzioni all’orizzonte – quella verde e quella energetica – potrebbero fare da volano per tutta l’economia.
Sul piano internazionale, il presidente cinese ha avallato un potenziamento militare nel Mar Cinese Meridionale e una politica più aggressiva nei confronti di Hong Kong e Taiwan. Quest’ultima in particolare è diventata la pietra angolare della crescente rivalità con Washington, acuita dalla ‘amicizia senza limiti’ tra Xi Jinping e Vladimir Putin celebrata nei mesi scorsi. Scelte che hanno, tuttavia, causato alcuni scossoni sugli equilibri internazionali. Stati Uniti, Ue, Giappone e Corea del Sud, hanno cominciato a vedere il paese asiatico sempre più come un rivale e non solo come un avversario economico.
Una presa di coscienza che ha innescato una corsa a ridurre la dipendenza economica dalla Cina (puntando a bloccare il trasferimento tecnologico dall’estero), e che sta modificando lo scacchiere globale. Oggi, Pechino è guardata con sospetto dall’Occidente, come una possibile sfida all’ordine globale. Un mutamento avvenuto perlopiù sotto l’egida di Xi. Che però ha un asso nella manica: Pechino detiene il 93% delle scorte mondiali di rame, il 74% di quelle di alluminio, il 68% di quelle di mais e il 51% di quelle di frumento.