L’intesa sui migranti è saltata, ostacolata dall’opposizione di Polonia e Ungheria al testo delle conclusioni del Consiglio europeo dedicato a questo tema. Un intoppo che, tra i vari effetti, ha anche quello di accelerare il percorso verso l’addio all’unanimità.
Al Consiglio europeo di Bruxelles sul tema immigrazione “non c’è stata unanimità, ma una larga convergenza a 25 che era stata assente negli anni passati”, ha sottolineato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel.
Al centro del dissenso c’è l’accordo sulla ‘dimensione interna’ del Patto Ue su Immigrazione e Asilo, raggiunto dai ministri dell’Interno lo scorso 8 giugno a Lussemburgo, con decisione a maggioranza qualificata e voto contrario proprio di Varsavia e Budapest.
Per ‘dimensione interna’ si intende la cosiddetta ‘solidarietà obbligatoria’, che costringerebbe gli Stati membri a scegliere se ricollocare sul proprio territorio quote di migranti (stabilite secondo criteri oggettivi) dai paesi di primo ingresso, o, in alternativa, pagare 20.000 euro per ogni migrante non accolto. Una regola che Polonia e Ungheria vorrebbero cancellare.
I due Stati, inoltre, contestano il fatto che decisioni di questo genere possano essere prese dai ministri competenti in Consiglio Ue a maggioranza qualificata (come prevede il Trattato), e pretendono di continuare il principio di unanimità, come si è fatto negli ultimi sette anni.
Sebbene quest’ultimo aspetto sia dirimente, il punto centrale è che l’intesa sui migranti non costituisce in ogni caso un buon compromesso visto che offre una via d’uscita, a buon mercato, per i paesi che volessero respingere le quote assegnate di migranti.
Con il risultato finale che gli Stati di primo approdo rischierebbero di ritrovarsi i migranti, compresi quelli destinati ad altri paesi, sul proprio territorio con la magra consolazione di 20mila euro.