Alla fine la conferma è arrivata. Il politico bavarese Manfred Weber ha annunciato di voler correre alle prossime elezioni europee di maggio 2019. L’obiettivo è diventare il primo presidente tedesco del braccio esecutivo dell’Ue dal 1967.
Weber, 46 anni, definito come un “costruttore di ponti”, è oggi a capo di quello che è il più grande gruppo del Parlamento europeo da 20 anni, il Ppe. Ma trova davanti a sè numerosi ostacoli. Il primo è anche il più difficile. Uscire dal congresso del Ppe programmato per il mese di novembre a Helsinki con l'investitura di candidato alla presidenza della Commissione europea per il centro-destra.
Sembra sia, tuttavia, partito con il piede giusto, incassando subito il sostegno di Angela Merkel. Dovrà comunque vedersela con altri candidati, tra i quali potrebbe esserci il negoziatore dell’Ue per la Brexit, Michel Barnier, e l'ex primo ministro finlandese, Alexander Stubb.
Oltre alla competizione, Weber ha alcuni punti deboli. Non è mai stato primo ministro, a differenza dei quattro precedenti presidenti della Commissione, e non ha un'esperienza consistente. Questo spiega perché la sceneggiatura potrebbe cambiare ancora da qui al 2019.
Gli strateghi liberali e socialisti sostengono che il Ppe non ha più la forza per dettare i tempi della politica comunitaria: i seggi ottenuti al Consiglio europeo sono 8 su 28 e, secondo alcuni sondaggi, il Ppe è sulla buona strada per uscire dalle prossime elezioni con 185-190 parlamentari su 705. Meno dei 217 attuali e dei 277 del 2009. Occorrono, tuttavia, 353 seggi (la maggioranza assoluta) per vincere le elezioni.
I liberali, dal canto loro, guardano al presidente della Francia, Emmanuel Macron, la cui popolarità appare però in forte declino. E, poi, il gruppo liberale ha dalla sua sette capi di governo, ma rappresentano soltanto il 10% della popolazione europea. Con un candidato come Macron le previsioni lievitano fin soltanto al 24%.
C’è un’altra possibilità. Il presidente francese potrebbe decidere un passo indietro, qualora Parigi avesse la rassicurazione sulla presidenza della Bce, che fino a poche settimane fa sembrava destinata alla Germania. Da quando, tuttavia, Angela Merkel ha cominciato a valutare l’opportunità di puntare su Bruxelles piuttosto che Francoforte, lo scenario è mutato.
Sempreché l’euroscetticismo non cresca oltre le già alte aspettative e superi il Ppe, che secondo le stime attuali dovrebbe invece riuscire a restare il partito più grande, seppur in fase calante. Se le cose andassero così ci sarebbe comunque bisogno di qualcosa di simile alla “grosse koalition" varata in Germania da Spd e Cdu.
Forse è presto per tirare conclusioni. Anche perché Jean-Claude Juncker scade nel novembre 2019, un mese prima si consumerà la fine del mandato di Mario Draghi alla Bce e un mese dopo è previsto il rinnovo di un’altra importante poltrona, quella che porta alla presidenza del Consiglio europeo. La partita a scacchi è appena cominciata.