Nella riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale europea del 13 settembre, diversamente dal passato, Mario Draghi aveva evitato di affrontare il tema fiscale, limitandosi a delineare il contesto su inflazione tassi di interesse e quantitative esing. Agli occhi degli osservatori era sembrato uno strano comportamento quello del governatore.
Poi, pochi giorni dopo, durante una conferenza al Jacque Delors Insitutte di Berlino, Draghi ha sbottato: "La zona euro ha bisogno di un nuovo strumento fiscale che svolga una funzione di stabilizzazione e di una maggiore condivisione del rischio pubblico per combattere quel tipo di crisi che hanno lasciato cicatrici durature sull'economia e sulla società dell'eurozona". E ha fissato due condizioni sullo strumento da adottare: "dovrà essere adeguato" nelle sue dimensioni e "progettato in modo da contenere l'azzardo morale".
Nella visione di Draghi solo un grande passo verso un'ulteriore integrazione potrebbe stimolare crescita e produttività, puntando a regole fiscali più anticicliche e stringenti. L'idea è che in un contesto internazionale in cui l'apertura commerciale non può più essere data per scontata, un mercato interno più strutturato potrebbe diventare anche uno strumento per proteggere maggiormente l'eurozona dagli shock esterni. "Secondo una stima, rimuovere tutti gli ostacoli al commercio potrebbe aumentare le entrate dell'Ue fino al 14% in 10 anni e raddoppiare gli scambi intra-UE", ha spiegato il governatore.
E dopo anni di resistenza, adesso la Germania sembra meno rigida rispetto alla condivisione dei rischi. Parlando in una tavola rotonda alla stessa conferenza, il ministro tedesco delle Finanze, Olaf Scholz, ha sorpreso la platea invitando i governi del blocco valutario a "concordare entro il 2018 le iniziative necessarie al completamento dell'unione bancaria al fine di rendere più resiliente l'eurozona di fronte alla prossima crisi".
Al di là delle dichiarazioni sarà necessario ora vedere se e quando verranno fatti ulteriori passi in avanti verso l’unione bancaria, mentre un'altra cosa è certa: entrambi, sia Draghi sia Scholz, hanno parlato di una possibile "prossima crisi".